Abbiamo avuto vite passate? Cosa dice la patristica

La patristica è su posizioni diametralmente opposte alla reincarnazione. Va chiarito, questo, perché molta confusione hanno portato errate citazioni di padri della Chiesa da parte di reincarnazionisti. San Giustino, filosofo e martire (100 – 162/168) rifiutò la reincarnazione o metempsicosi. Discutendo con l’ebreo Trifone in termini filosofici e prima della conversione, Giustino afferma che l’uomo non ha nessuna coscienza di avere avuto vite passate, come non ha coscienza di sue esistenze future. Se si tratta di punizione dovrebbe avere la consapevolezza delle proprie colpe (Dialogo con Trifone 4,4-7; 5,5): Dice Trifone: “Anzi vorrei dire che esse non sono neppure punite se non hanno coscienza della punizioneRisponde GiustinoInfatti è così”. Riprende Trifone: Le anime, in conclusione, né vedono Dio né passano ad altri corpi. In caso contrario, infatti, sarebbero state conscie di venire in tal modo punite e avrebbero temuto di ricadere in peccato per l’avvenire. Esse tuttavia possono arrivare a capire che Dio esiste e che giustizia e pietà sono cosa buona: su questo sono d’accordo con te, disse”. Giustino risponde: “Hai ragione, dissi a mia volta”. (Dialogo con Trifone 6,1-2) Giustino afferma che l’uomo vive per l’anima, che non rimane sempre unita al corpo, come avviene, appunto, con la morte. L’anima vive, ma non è essa stessa la vita, partecipandola da Dio. Ora quando Dio fa cessare di esistere l’anima questo avviene perché lo spirito, che dà la vita all’anima, si separa dall’anima “che torna là di dove è stata presa”. Con ciò Giustino non fa una professione della preesistenza delle anime e della loro caduta nei corpi per un peccato compiuto nelle sfere celesti. Non sempre il suo pensiero è esatto, ma certo è che da ammiratore di Platone e di altri filosofi, passò all’amore per i profeti biblici e di quelli che sono amici di Cristo (Dialogo con Trifone, 8, 1). Nessuna traccia dell’apokatastasis, che verrà avanzata da Origene. Nella Seconda apologia VI, si legge: “La verità, è che il Signore, invece, fin da principio, ha creato pienamente padrona di sé la natura angelica e la natura umana; e gli angeli e gli uomini, secondo giustizia, saranno dunque puniti per le loro colpe nel fuoco eterno”.

Clemente Alessandrino (150 ca. – 215 ca.) non ha sostenuto la preesistenza delle anime, come si vorrebbe da qualcuno considerando alcuni suoi testi, che, invece, non fanno che poggiarsi sui testi di san Paolo (2Cor 5,6-10) (Stromata IV, 26, 166, 1-3; Qui dives salvetur, 3, 26, 33, 36). Al contrario, decisamente, Clemente Alessandrino, afferma, contro Basilide (gnostico), che l’anima non è una realtà sopramondana(Stromata IV, 26, 165, 4). Il che vuol dire che non esiste la preesistenza dell’anima. Clemente Alessandrino presenta solo una preesistenza ideale dell’uomo stesso nella mente divina, secondo la quale viene formato da Dio (Stromata IV, 23, 150, 2): “Poiché non senza rappresentazione o senza forma avviene la creazione nell’officina della natura, ove si compie misteriosamente la generazione dell’uomo”. L’uomo è stato creato a immagine e somiglianza di Dio e l’anima razionale vivifica il corpo quale principio della sua costituzione vitale (Stromata  VI, 16, 134, 2; 135, 2.4; 136, 1-2). Clemente rigetta la metensomatosi (metensomátosis), cioè il passaggio dell’anima da un corpo a un altro (Stromata III, 3, 13,2): “Essi fanno cadere l’anima, che è divina, quaggiù nel mondo, come in un luogo di supplizio e, a parer loro, le anime introdotte nei corpi si devono purificare. Vogliono che le anime si introducano nei corpi e vi si leghino e vi si travasino passando [d’uno in altro]”. Clemente Alessandrino, seguendo l’errore di Erodoto, fa provenire questa teoria dalla teologia egiziana (Stromata VI, 4, 1), passata poi ai greci. Origene (185 – 254) distinse tra verità di fede e ipotesi teologiche, e si dette molto alle ipotesi, ma non controllandole sempre con la fede, giunse a errori contro la fede. Il suo tentativo fu quello di conciliare le teorie platoniche con il cristianesimo (De Principiis, II, 8,4; PG 2,224). Egli professò con Platone la preesistenza delle anime cadute poi in un corpo, e avanzò l’idea della reincarnazione come processo di purificazione (san Gerolamo contro Origene; lettera ad Avito). Sostenne l’apokatástasis, cioè la finale “reintegrazione” dei dannati e anche dei demoni, il che voleva dire la non eternità dell’inferno. L’apokatástasis professata da Origene venne seguita da Gregorio di Nissa (335 –  395), da Didimo il Cieco (313 . 398), e, in maniera sfumata, da Gregorio Nazianzeno (329 – 390 ca.) e da Massimo il Confessore (579 – 390).

Grande difensore di Origene, oggetto di aperte critiche autorevoli, tra le quali san Gerolamo, fu Tirannio Rufino (345 ca. – 411) (Rufino scrisse a papa Anastasio sostenendo Origene: “Apologia ad Anastasium papam”). Sant’Anastasio fu pontefice dal 399 al 411. La dottrina dell’apokatástasis di Origene venne condannata dal Concilio di Costantinopoli del 543, presieduto dal patriarca Mena di Costantinopoli, con l’approvazione di papa Vigilio. “Se qualcuno dice o ritiene che il supplizio dei demoni e degli empi è temporaneo e che un tempo finirà e che ci sarà l’apocatastasi o reintegrazione dei demoni e degli empi, sia anatema”. Nel V Concilio ecumenico di Costantinopoli (553) venne condannata la tesi sulla preesistenza delle anime, professata da Origene. “Chiunque dichiari o pensi che l'anima umana preesistesse, ossia che sia stata spirito o sacra podestà, ma che sazia della visione di Dio si sia volta al male e che in questo modo il Divino amore si sia raffreddato in lei e sia pertanto divenuta anima, precipitando per castigo nel corpo, anatema sia”. Sant’Agostino (354 – 430) si oppose alla reincarnazione e metempsicosi, dopo un cammino di indagine, concludendo, dopo la sua conversione, con un’aperta e convinta adesione alla dottrina della Chiesa.  Nel “Contra Academicos”, scritto da Agostino quando aveva 32 anni (386), cioè circa un anno prima della sua conversione avvenuta a 33 anni, Agostino in un passo si rivela ancora aderente alla teoria della reincarnazione (Libro terzo, n° 18,41): “Le parole di Platone, le più pure e limpide in filosofia, fugate le ombre dell’errore, tornò a risplendere soprattutto in Plotino. Egli, filosofo platonico, fu giudicato tanto simile al maestro da sembrare che fossero contemporanei, ma è tanto l’intervallo di tempo da far ritenere che il primo si sia reincarnato (revixisse) nel secondo”. Nelle Confessioni scritte nel 398 (Libro primo, n° 6,9) Agostino, che evidentemente ancora riflette su Platone e Plotino, pone delle domande a Dio circa una sua vita preesistente, concludendo che nessuno poté dirgli qualcosa, come neppure la sua memoria. Conclude che Dio certamente ride di tali domande e non lo vuole impigliato in esse, ma piuttosto si aspetta la lode per quanto sa di lui. Questo il testo, ampiamente abusato dai reincarnazionisti: “Su questa mi fu dato invero qualche ragguaglio, e io stesso, del resto, vidi qualche donna incinta. Ma prima ancora di questa, o mia dolcezza, mio Dio? Fui da qualche parte, fui qualcuno? Chi potrebbe rispondermi? Non ho nessuno; né mio padre né mia madre poterono dirmelo, né l’esperienza altrui né la memoria mia. O tu ridi di me, che ti pongo tali domande, e mi ordini di lodarti piuttosto e confessarti per quanto so?”.

Ma, nel “De Civitate Dei”, scritto tra il 413 e il 426, Agostino si oppone alla reincarnazione e metempsicosi. (Libro decimo, n° 30): “Porfirio su questa dottrina (metempsicosi) si è in gran parte ravveduto, tanto da ritenere che le anime umane possano essere calate soltanto in uomini e non ebbe alcuna esitazione a demolire i carceri belluini (animali). (… n° 31). Perché dunque sugli argomenti, che non possiamo investigare con intelligenza umana, non crediamo piuttosto alla rivelazione divina, la quale afferma che l’anima stessa non è coeterna a Dio, ma creata perché prima non esisteva? (…)Pertanto la scarsa intelligenza umana si arrenda all’autorità divina (…) Inoltre per quanto riguarda la vera religione, crediamo agli spiriti felici e immortali, i quali non si arrogano l’onore che sanno dovuto al loro Dio, che è anche il nostro. Essi ci ordinano di offrire il sacrificio soltanto a lui, del quale anche noi con essi, come spesso ho detto e spesso si deve ripetere, dobbiamo divenire sacrificio per essere immolati mediante quel sacerdote che perfino con la morte si è degnato di divenire sacrificio per noi nell’uomo che ha assunto e nella cui forma ha voluto anche esser sacerdote. (n° 32,1) Questa è la religione che indica la via aperta a tutti per la liberazione dell’anima”.

San Gerolamo (347 – 420) è diventato il clou dei reincarnazionisti con questa presupposta frase: Non conviene si parli troppo delle rinascite perché le masse non sono in grado di comprendere”. Con ciò si insinua una nascosta dottrina esoterica da non dare alle masse. La frase èuna deformazione di quanto si legge nella lettera ad Avito (408 – 409), dove si rigetta, appunto, la reincarnazione: “Gli ho mandato quei libri (copia della sua versione del Perì archôn di Origene). Come li lesse, ne rabbrividì, e li chiuse a chiave in un armadio per evitare che, circolando in pubblico, molte coscienze ne venissero ferite”.  Nella stessa lettera san Gerolamo dice: “Passando a parlare delle creature razionali, dopo aver detto che sono cadute in corpi terrestri a motivo della loro negligenza, aggiunge ancora questa frase: ‘E’ segno di negligenza e di accidia ben grande il fatto che uno si rilassi e si abbassi al punto di cader nei vizi e di finire legato al corpo grossolano d’animali privi di ragione’” (…) “Quest’altro passo ci può convincere che Origene sostiene la dottrina della metempsicosi e dell’annientamento dei corpi. E’ questo: ‘Se qualcuno riuscisse a dimostrare che la natura incorporea e razionale una volta liberatasi dal corpo può vivere autonomamente, e che rivestita di corpo vive in condizioni peggiori, mentre quando ne resta libera si trova in condizioni migliori, nessuno potrebbe dubitare, in questo caso, che i corpi non sono sussistenti per loro essenza, ma vengono formati nel tempo, a intervalli, a causa dei diversi movimenti delle creature razionali: quelle che ne hanno bisogno ne vengono rivestite, e viceversa, quando esse, in seguito alla depravazione che aveva causato la loro caduta, migliorano la propria condotta, fanno sì che il loro corpo si dissolva nel nulla. I corpi, insomma, sono soggetti continuamente a queste successive trasformazioni’”.

Altra frase manipolata dalla lettera a Demetriade è questa”: “La dottrina della trasmigrazione era insegnata segretamente ai pochi fino dai tempi antichi, come una verità tradizionale, che non si doveva divulgare”. La tradizione autentica è: Quest’empia e scellerata dottrina tempo fa era diffusa in Egitto e nell’Oriente, ed ora sta penetrando nascostamente, come i fori scavati da serpi, nel cuore di molte persone, e contamina proprio sul loro terreno la purezza della loro fede”. Queste parole sono immediatamente precedute da queste: “Questi individui hanno l’abitudine di bisbigliare negli angoli, e credono di poter mettere in causa la giustizia di Dio. ‘Perché – dicono – quell’anima è nata in quella provincia? Da che dipende che alcuni nascono da genitori cristiani e altri in mezzo a popolazioni selvagge e ferocissime ove Dio è del tutto ignorato?’. Con queste insinuazioni lanciate a mo’ della puntura dello scorpione, colpiscono i semplici, si aprono la strada come attraverso una ferita fistolosa e così diffondono il proprio veleno. ‘Pensi che sia senza motivo il fatto che un bambino ancora piccolo, che a stento riconosce sua madre sorridendo e mostrando un viso allegro, e che non ha fatto ancora nulla di bene o di male, si trovi posseduto dal demonio [ndr. parlerei per un pargolo di epilessia], sia sfinito dall’itterizia, e sopporti sofferenze che vediamo non sostengono neppure gli empi, mentre le sostengono i servitori di Dio?’. Ma se ‘i giudizi di Dio sono veri’ – essi continuano – ‘e giustificati in se stessi’ (Cf. Rm 1,8), e se ‘non esiste ingiustizia presso Dio’, per forza di ragione dobbiamo concludere che le anime abitavano un tempo nelle regioni celesti, e che poi per certi antichi peccati sono state condannate a vivere sepolte – per così dire – in corpi umani; noi, quindi, in questa valle di lacrime non faremmo che espiare la pena dovuta alle loro colpe (1). Non dice: ‘Esci dal carcere o anima mia’? E ancora: ‘E’ stato costui a peccare, per essere cieco dalla nascita, o sono stati i suoi parenti?’, e altri testi simili”.

Pare di leggere le parole di Swami Vivekananda (1863 – 1902) nel suo libro, divulgato dalla Ramakrisna missionSwami Vivekananda è stato un induista iscritto alla massoneria nel 1884 nella loggia “Anchor and pope” n° 1 di Calcutta. L’autore si scaglia contro la creazione dal nulla dell’anima, che, secondo lui, sarebbe in contrasto con la Bontà di Dio, al contrario della reincarnazione, circa il dolore che c’è nel mondo.. Tra gli aperti avversari della reincarnazione ci furono: san Clemente Romano, papa dal 92 al 97 (Seconda lettera  ai Corinzi); san Cipriano di Cartagine (210 – 258), vescovo e martire (Ad Demetrium, 25); san Basilio Magno (329 – 379), vescovo di Cesarea (Homilia 7, in divites n. 8: PG 31, 301; In Haexaemeronhomilia VIII, 2); San Giovanni Crisostomo (344/354 – 407), Patriarca di Costantinopoli (Homilia de Poenitentia, 9: PG 39, 346); sant’Ambrogio (339/340 – 397), vescovo di Milano (In Psalmos, 118,2,14; De excess. Frater., II, 48); sant’Epifanio (315 ca. – 403), metropolita di Cipro e vescovo di Salamina (Panarion adversus omnes haereses, 21, c. 2; 66,28); Pseudo-Areopagita (sec. V o VI) (De ecclesiastica hierarchia, c. VII, 2). Il rosacrociano Edmond Bertholet ha voluto avanzare, con una semplice insinuazione l’idea che Scoto Eriugena (810 – 877 ca.) rilanciasse la reincarnazione, ma l’errore è grossolano e gratuito. Infatti Eriugena non parla della reincarnazione, ma tratta del ritorno a Dio dell’uomo. Prima il corpo si disfa con la morte nei quattro elementi (terra, acqua, aria e fuoco), poi, dopo la resurrezione, nella quale ognuno prende il suo corpo, il corpo viene spiritualizzato (glorificazione; Cf. 1Cor 15,42-46), poi la natura dell’uomo torna nelle cause primordiali (De divisione naturae, V, 37), che sono i  modelli, i prototipi, delle cose create, in sostanza le idee platoniche. Ma Scoto Eurigena concepisce le idee esistenti nell’Essenza divina, diversamente da Platone, che faceva le idee sussistenti in se stesse. Esse sono molteplici in quanto distinte l’una dall’altra, come concetti nella nostra mente, ma le idee, in Dio, sono la stessa essenza di Dio. Infine la natura del corpo nelle sue cause primordiali (idee), cioè secondo il pensiero creatore ed eterno, si muove verso Dio, senza niente perdere dell’integrità della sua natura. (Enciclopedia Filosofica e Enciclopedia Cattolica, voce Scoto Eriugena). Si rimane poi allibiti leggendo che Scoto Eriugena ha professato l’apokatastasis.