“Ecco perché vogliono abolire la Festa della Mamma”

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Care mamme, per voi quest’anno niente lavoretti fatti a mano né fiori. O almeno, non vi aspettate simili regalini se avete un figlio che frequenta l’asilo nido “Chicco di Grano”, nel quartiere Ardeatino di Roma. Qui la dirigenza scolastica ha deciso di mettere al bando la vostra festa, considerandola alla stregua di un pericoloso strumento di offesa nei confronti delle minoranze.

Le polemiche

Al posto della Festa della Mamma, è stata pensata una versione generica, definita dagli organizzatori rispettosa “delle trasformazioni sociali e culturali in atto nella nostra società”. La virata politicamente corretta della scuola romana ha scatenato – per rimanere in tema con il nome dell’asilo nido – un granaio di polemiche. Contraria è anche Giusy D’Amico, insegnante di scuola elementare, madre e presidente di “Non si tocca la famiglia”. “I bambini soffrono se la mamma non ce l’hanno – spiega ad In Terris – non per la Festa. E questo cambia di molto la prospettiva sull’analisi dei fatti”. Come educatrice di scuola elementare e, in passato, anche di scuola dell’infanzia, la D’Amico ha sempre rilevato “come fare festa per mamma o per papà renda lieti i bambini e li aiuti a costruire e rinforzare la loro percezione identitaria, che noi educatori abbiamo il dovere di favorire”.

“Non c'è identità senza origine”

Ci sono però bambini orfani di madre: costoro potrebbero sentirsi feriti nel vedere i loro compagni celebrare una presenza a loro negata? “Quando un bambino – spiega l’insegnante – non ha la mamma, magari perché è morta, va aiutato a costruire un legame con il Cielo, perché è necessario che lui mantenga viva quell’appartenenza, la coltivi”. I ricordi della D’Amico vanno quindi alla sua esperienza passata: “Ho avuto un’alunna orfana, che esprimeva la forte volontà di scrivere una lettera per la mamma in due copie: una la portava al cimitero e un’altra la teneva nel suo cassetto”. La stessa necessità è presente nei bambini che sono stati abbandonati. “Ogni anno, in ogni ciclo di istruzione, mi capitano casi di questo tipo – racconta la D’Amico – e percepisco come inossidabile l’esigenza del bambino di legarsi a una figura femminile, che può essere una nonna o in una zia. Così come, nel caso non abbiano il papà, si legano a un nonno o a uno zio”. Del resto, “non vi è identità senza un’origine” e “i bambini sono assetati di figure di riferimento: per differenziarsi con il genitore del sesso opposto e per identificarsi con il genitore del proprio sesso”. “Ci dobbiamo ora aspettare che si sopprima anche l’Inno di Mameli per non offendere gli alunni di nazionalità straniere?”, si chiede provocatoriamente l’insegnante. Ma la D’Amico critica l’asilo “Chicco di Grano” anche nel metodo. “Aver estromesso i genitori da una decisione così delicata – osserva – significa violare qualsiasi normativa scolastica che valorizza il coinvolgimento partecipativo della famiglia e dei genitori”. Se i genitori fossero stati informati preventivamente, forse l’epilogo sarebbe stato diverso e la Festa della Mamma sarebbe stata salvata dalla gogna del politicamente corretto. “Imporre un pensiero unico – riflette l’insegnante – non può trovare il favore tra persone di buon senso”.

Una “campagna contro la famiglia”

Eppure questo pensiero unico ormai da anni sta tentando di diffondersi in modo capillare nelle scuole. Secondo la D’Amico non c’è dubbio, è in atto una campagna ideologica contro la famiglia che si alimenta attraverso una sorta di “neo-lingua” che confonde le coscienze insieme all’indottrinamento mediatico sull’inclusione, sulla valorizzazione delle differenze, sull’intercultura… “E questo ha ingannato molti dirigenti scolastici, che in nome della lotta alle discriminazioni o al femminicidio – rileva la D’Amico – introducono percorsi educativi di dubbio valore”. Ma perché questa guerra contro la famiglia? Nel rispondere, la D’Amico smette gli abiti da insegnante e indossa quelli da dirigente dell’associazionismo familiare: “Perché ci sono delle elite che agiscono affinché entrino in circolo nuovi consumi. E la famiglia non è un utente che spende, che consuma, bensì che risparmia, che fa sacrifici per i figli”. Quegli stessi figli che sono il bersaglio prediletto di chi ha imbracciato queste armi ideologiche, perché – spiega la D’Amico – “sono terreno fertile, una tabula rasa da riempire”, magari con la teoria gender che annulla le differenze. Per questo – ammonisce la mamma, l’insegnante e l’attivista pro-famiglia – “bisogna avere massima vigilanza per evitare che ciò avvenga”.