Usa e Iran, partita a scacchi

Provano ad allentare la fune gli Stati Uniti, cercando di smorzare il periodo di forte tensione con l'Iran. A prendere la parola è il segretario di Stato, Mike Pompeo, secondo il quale Washington sarebbe anche disposta a discutere con Teheran “senza precondizioni”, precisando però che gli Usa, “continueranno a mantenere la loro linea nei confronti dell'Iran” e che, la trattativa vera e propria avverrà quando “vedremo l'Iran comportarsi come una nazione normale. Dichiarazioni che, a ogni modo, non spostano più di tanto gli equilibri, dopo una fase di minacce reciproche ma anche di esternazioni pacificatorie. Ora come ora, l'unico dato certo della vicenda Usa-Iran riguarda il rafforzamento dei contingenti americani, incrementati in queste settimane con mezzi militari di terra e di mare, viaggiando sul filo dell'ambiguità fra possibilità di intenti bellici e semplice strategia precauzionale nei confronti delle insofferenze iraniane alla politica applicata su nucleare e sanzioni.

Prove di dialogo?

Inevitabile che, in questo momento, la partita a scacchi con Teheran abbia in qualche modo influito sulla situazione generale di un'area di per sé instabile come il Medio Oriente coinvolgendo, sia pur indirettamente, anche altri attori, interessati a preservare l'intesa con l'una o con l'altra sponda. E' il caso dell'Arabia Saudita, coinvolta suo malgrado in quattro casi di sabotaggio ad alcune imbarcazioni al largo di Fujairah, nel Golfo Persico, episodio sul quale continua a restare il sospetto saudita (e americano) che si tratti di un'incursione di marca iraniana, accusa respinta al mittente ma che resta motivo di tensione. A ogni modo, le dichiarazioni di Pompeo fanno in un certo senso seguito a quelle di Rouhani, il quale aveva fatto sapere che anche Teheran era disponibile al confronto, qualora gli Stati Uniti avessero rivisto il loro atteggiamento “smettendo di dare ordini” e “mostrando rispetto” nei confronti dell'Iran. Condizione che, stante le dichiarazioni del segretario di Stato, Washington sembra disposta a seguire solo in parte.

Posizioni ambigue

Allo stesso tempo, sommando le parole di Rouhani e Pompeo, si evince come dietro alla questione Usa-Iran stiano agendo anche altri attori, in un tentativo di mediazione che convinca i due litiganti a non fare la voce grossa ma a sedersi a un tavolo di trattativa per risolvere la questione senza ricorrere all'ingrossamento delle fila militari. Pompeo, ad esempio, ha parlato dalla Svizzera (dove si trova per un incontro con il ministro degli Esteri Ignazio Cassis), Paese teoricamente intermediario ma, di fatto, con più smentite che conferme sul suo lavoro dietro le quinte. Del resto, anche la posizione degli stessi Usa continua a restare ambigua: da un lato Trump e Pompeo che predicano la calma, dicendo di non volere una guerra con l'Iran; dall'altra, parte dello stato maggiore della Casa Bianca, con in testa il consigliere per la Sicurezza nazionale John Bolton, che opterebbero per una linea più dura, accontanando l'eventuale riapertura di una finestra di dialogo che, con Teheran, è chiusa ormai da quarant'anni.