Scontri a Tijuana

Tensioni a Tijuana, in Messico, dove migliaia di migranti della “carovana” partita dall'America centrale e diretta negli Stati Uniti hanno trovato rifugio temporaneo. 

Manifestazioni

Sventolando bandiere messicane, cantando l'inno nazionale e gridando “fuori, fuori!” centinaia di persone si sono raccolte per protestare vicino al complesso sportivo, convertito in rifugio provvisorio dal governo per accogliere il crescente numero di migranti in arrivo – finora sono oltre 3.000 – e intenzionati a chiedere asilo negli Stati Uniti. Alcuni manifestanti hanno buttato giù le barriere messe dalla polizia per controllare le strade e hanno gettato bottiglie di plastica e spazzatura contro gli agenti, accusati dalla folla di essere anti-patriottici perché proteggono i migranti, considerati per lo più come drogati, ladri e membri di gang. Si tratta della stessa retorica utilizzata dal presidente Usa, Donald Trump, contro la “carovana” durante la campagna elettorale per il recente voto di midterm. Diversi manifestanti chiedono al governo messicano di adottare proprio la stessa linea dura di Trump.

Allarme del sindaco

Il sindaco di Tijuana, Josè Manuel Gastelum, ha accusato i migranti di essere violenti e ha promesso di condurre un'inchiesta per decidere se la città continuerà ad accogliergli. Gastelum ha anche avvertito che la città potrebbe non avere le risorse per continuare a ospitare il grande flusso di rifugiati. Trump ha dato sostegno al primo cittadino: “Il sindaco di Tijuana ha detto che 'la città non è preparata a gestire così tanti migranti'… anche gli Stati Uniti non sono preparati per questa invasione e non la permetteranno. Stanno portando criminalita' e problemi in Messico. Tornate a casa!”.