Russiagate, Mueller non scagiona Trump

Il presidente Donald Trump non è del tutto esonerato dal Russiagate. Suonano concise le parole dell'ex procuratore speciale, Robert Mueller, davanti alle Commissioni Giustizia e Intelligence della Camera. Una doccia fredda per il presidente degli Stati Uniti per il quale, al contrario, i giochi erano “finiti” da tempo – come testimoniato da un tweet:

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Dalla deposizione di Mueller, anzi, emergerebbe che è proprio la posizione di “presidente” che avrebbe salvato Trump da un'incriminazione giacché, stando alla legge degli Stati Uniti, un presidente in carica non può essere incriminato. Secondo Mueller, il rapporto indica che la Russia interferì “in modo vasto e sistematico” nelle elezioni presidenziali del 2016, sebbene le indagini non abbiano rintracciato prove sufficienti della colpevolezza dell'inquilino della Casa Bianca. Per i democratici, dunque, non è bastato il rapporto, lungo circa 400 pagine e con svariati omissis, presentato dallo stesso Mueller qualche mese fa. E pensare che, quando il 17 maggio 2017, questi fu nominato procuratore generale per il Russiagate, fu lo stesso presidente Donald Trump si sentì compromesso, secondo quanto attestato nel rapporto di 448 pagine pubblicato dal Dipartimento di Giustizia. Secondo il procuratore generale, William Barr – sodale di Trump -, nel documento, reso pubblico lo scorso marzo, emergono sì interferenze russe nella campagna elettorale americana, ma non ci sarebbe alcuna collusione tra lo staff del presidente e Mosca. Lo stesso Barr si era trovato in disaccordo con alcune tesi di Mueller su alcuni presunti ostacoli alla giustizia esercitati dal presindebte.

Cos'è il Russiagate

Sebbene Trump abbia definito tutto questo una “caccia alle streghe corrotta”, Mueller all'ultimo minuto ha reso noto che, durante l'udienza presso le Commissioni, sarà affiancato dall'avvocato Aaron Zebley, numero due dell'inchiesta sul Russiagate, che è stato presente in qualità di testimone. Dopo due anni di indagini sui presunti tentativi russi di influenzare la campagna presidenziale del 2016, il rapporto ha dimostrato che vi sono stati vari contatti tra l'entourage di Donald Trump e la Russia, ma non ha riscontrato prove che siano stati commessi dei reati, né che il presidente Usa abbia successivamente ostruito la giustizia. Dalle pagine emerge, dunque, una non colpevolezza per mancanza di prove. A garanzia dell'indagine, durata quasi due anni, lo stesso Mueller, che ha guadagnato fama di autorevolezza e indipendenza sin dai tempi della guida al Federal Bureau of Investigation. L'indagine nasce dalle accuse di una convergenza di sforzi tra Russia e Stati Uniti atti a far vincere il repubblicano Donald Trump sulla candidata democratica, Hillary Clinton, nelle elezioni presidenziali 2016. Mueller ha raccolto diverse prove sui contatti tra lo staff elettorale di Trump e Mosca, eppure non tali da rendere palese il reato di collusione con una potenza straniera. Punto di contatto sarebbe stato Julian Assange, su cui, invece, pesa il reato di violazione della banca dati informatica del partito democratico attraverso cui riuscì a rubare email compromettenti inviate da Clinton, poi girate ai repubblicani e ai media statunitensi. Resta sospetto, per i democratici, l'atteggiamento concomitante alle indagini da parte di Donald Trump, palese in diverse azioni, come nel licenziamento di James Comey, a capo dell'Fbi, e nelle pressioni sul Dipartimento di Giustizia perché licenziasse lo stesso Mueller.

Le reazioni all'inchiesta

Dopo aver rivelato, di fatto, nulla di clamoroso in merito all'interferenza del Cremlino nelle presidenziali del 2016, alla fine di maggio Mueller è ritornato a vita privata, congedandosi dal dipartimento di Giustizia. Parlando pubblicamente per la prima volta dalla fine dell'inchiesta, a maggio scorso le parole del procuratore speciale sono state chiare: “Se fossimo stati convinti che il presidente non aveva responsabilità nel Russiagate lo avremmo detto”, sottolineando altresì che “non siamo però arrivati a determinare se Donald Trump abbia o meno commesso un crimine”. Le parole pronunciate da Mueller sono bastate come pietra tombale sul caso politico che schiuderebbe tutta l'inchiesta. Il procuratore ha manifestato l'intenzione di non pronunciarsi ulteriormente sull'inchiesta: “Se fossi costretto a fare altro, mi limiterei a ripetere quel che è scritto nelle 448 pagine di rapporto. Perché quel documento è già la mia testimonianza” ha chiosato in modo perentorio: “Il mio rapporto parla da solo”.  Per questo, i democratici gli hanno intimato di “svuotare il sacco” e tuttora considerino le sue deposizioni un momento di svolta:

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In seguito alle dichiarazioni di Mueller, infatti, alcuni esponenti democratici hanno prontamente invitato il Congresso ad agire: “La dichiarazione di Robert Mueller lo chiarisce: il Congresso ha l'obbligo legale e morale di iniziare immediatamente le procedure per l'impeachment” ha tuonato la democratica Cory Booker a cui ha fatto eco il dem Julian Castro, dichiarando: “Nessuno è al di sopra della legge: il Congresso dovrebbe avviare l'indagine per impeachment”. Sul caso, la frangia democratica s'è mostrata, sin dagli inizi, molto compatta. All'appello dem si è unito, nei giorni scorsi, anche l'attore statunitense, Robert De Niro che, in una lettera inviata al quotidiano The New York Times, ha detto: “Ed è qui, Mueller, che c'è bisogno che si faccia avanti […]. Ha detto che il suo lavoro investigativo parla da solo. Non lo fa. Potrebber essere per avvocati e deputati che hanno la pazienza e l'obbligo di leggere”, concludendo “La sua vita è stata un brillante esempio di come fare le cose in modo coraggioso e altruista per il bene del nostro Paese. La esorto a lasciare la tua zona comfort e a farlo di nuovo. Lei è la voce del rapporto Mueller. Lasci che il Paese ascolti quella voce”

Il precedente

Il presidente Trump sembra ostinato a reagire alle scosse inflitte al suo governo, recependole come attacchi politici. Lo ha già dimostrato la testimonianza dell'ex avvocato di Trump, Michael Cohen, avvenuta davanti al Congresso il 27 febbraio scorso. Nell'audizione, Cohen, strettissimo al presidente, lo ha smentito due volte: dapprima dicendo che Trump sapeva che il suo consigliere e amico Roger Stone era in contatto con WikiLeaks per pubblicare informazioni, avute dalla Russia, in grado di danneggiare la candidata democratica Hillary Clinton; in seguito, sostenendo che le trattative con alcuni funzionari russi per la costruzione della Trump Tower nella capitale russa siano andate avanti anche quando Trump era candidato alla presidenza. Eppure, nonstante la dovizia di particolari e il peso politico della sua testimonianza, non sono stati trovati estremi per mettere in stato d'accusa il presidente. Il quotidiano The New York Times non ha evitato di paragonare la deposizione di Cohen a quella del legale John Dean, che nel 1973 giocò un ruolo decisivo nel processo all'ex presidente Richard Nixon. A oggi, Cohen è stato condannato a tre anni di carcere per frode e per aver mentito al Congresso sui piani per la Trump Tower, mentre la frangia dei Repubblicani si è stretta intorno al presidente.

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La deposizione di Michael Cohen, ex-legale del presidente Usa – Video © The Wall Street Journal

Cosa potrebbe rischiare Trump?

Qualora emergesse una probabile collusione tra il Cremlino e la Casa Bianca, il presddente Trump potrebbe essere incriminato e rischiare l'impeachment. Perché scatti questa procedura è, tuttavia, necessario verificare l'esistenza di un'ingerenza di Mosca negli affari di Washington, eventualità che – a detta di Mueller – pare assai probabile. Il presidente può, dunque, dormire sonni tranquilli? Forse. L'inchiesta Russiagate mostra alcune menzogne dette dal presidente statunitense. Ora il Congresso potrebbe esercitare su di lui il “potere di subpoena”, vale a dire una sorta di mandato di comparizione con l'obbligo di testimoniare sotto giuramento, che Mueller non ha voluto ingaggiare per non prolungare eccessivamente la durata dell'inchiesta. L'ex procuratore ha lanciato la palla al Congresso. Il futuro per il presidente è menoroso di quello sperato.