Prove di pace tra Trump e Kim

Sembra una prova di pace l'incontro di ieri tra il presidente degli Stati Unti, Donald Trump, e il leader della Corea del Nord, Kim Jong-un. Dopo l'esito infelice del summit di Hanoi, i due capi di Stato hanno scelto la simbolica area demilitarizzata al confine tra le due Coree per rilanciare i colloqui sulla denuclearizzazione della Penisola. Come riferisce l'agenzia di stampa ufficiale della Corea del Nord, Korean Central News Agency, Kim e Trump hanno ripreso le fila del dialogo sul nucleare e intavolato le relazioni bilaterali. La stessa agenzia parla di un “incontro a sorpresa” voluto dallo stesso presidente statunitense statunitense. 

La cultura dell'incontro

Sul villaggio di Panmunjom incombe un'aria frizzante, di attesa. L'austero Palazzo della Pace, che gravita attorno ai quattro chilometri della zona delimitarizzata, fa da sfondo al cielo plumbeo di giugno. Qui i due leader Kim e Trump si sono stretti la mano: un gesto formale forse, eppure pregno di speranza se si ripercorrono gli scenari della Guerra di Corea. Donald Trump è il primo presidente a varcare il confine. La sua visita non può prescindere dai simboli che essa esprime: così, il passaggio da una Corea all'altra aggettiva il vertice di buoni auspici, come lo stesso Pontefice ha ricordato nell'Angelus di ieri, parlando di “un buon esempio della cultura dell'incontro“. “È un grande giorno per il mondo ed è un onore per me essere qui”, ha dichiarato Trump ieri, dopo aver salutato anche il presidente sudcoreano, Moon Jae-in. Questa volta l'istinto che il presidente utilizza via social lo ha premiato, perché prima di partire per la Corea del Sud, lo stesso Trump aveva espresso un desiderio via Twitter: “Incontrerei (Kim Jong-un, ndr) al confine/zona demilitarizzata solo per stringergli la mano e salutarlo” aveva scritto e la risposta della Corea del Nord non s'è fatta attendere: “Un suggerimento molto interessante” ha dichiarato il ministro degli Esteri del Paese, Choe Son-hui, all'agenzia di stampa ufficiale.

Alle radici del dialogo

In realtà, un vertice tra i tre Paesi non era atteso soprattutto dopo la smentita di colloqui “dietro le quinte” tra Pyongyang e Washington, come aveva insinuato, invece, il presidente sudcoreano con lo scopo di improntare un terzo summit tra leader. Il 27 giugno, infatti, l’agenzia di stampa ufficiale ha pubblicato le dichiarazioni di Kwon Jong-gun, direttore generale del dipartimento di Affari americani presso il ministero degli Esteri nordcoreano, che ha apertamente accusato Moon di mentire in merito ai presunti colloqui per manipolare l’opinione pubblica. Kwon ha affermato che “se avremo alcunché da riferire agli Usa, lo faremo semplicemente attraverso i canali di collegamento già attivi tra la Repubblica Popolare Democratica di Corea e gli Usa”. In questo modo, i funzionari nordcoreani hanno voluto ribadire la natura diretta dei negoziati tra i due Paesi, senza la necessaria mediazione della Corea del Sud. “I negoziati, se ce ne saranno, verranno condotti faccia a faccia, e nulla di tutto questo avverrà per tramite delle autorità sudcoreane”, ha aggiunto il funzionario nordcoreano.

I buoni auspici Usa

Alla vigilia del summit G-20 di Osaka, in programma lo scorso 29 giugno, il segretario di Stato Usa, Mike Pompeo, aveva già menzionato la “possibilità reale” di una ripresa dei colloqui tra Washington e Pyongyang. Poco tempo prima, i media di Stato della Corea del Nord avevano, infatti, riferito di aver ricevuto dal presidente Usa una lettera “eccellente e dal contenuto interessante”, sottolineando, altresì, che dal vertice di Hanoi il Paese stava lavorando sulla scia del diaologo insieme al suo partner. Pur non facendo riferimento all'intenzione di incontrare direttamente Kim, Washington aveva, però, reso nota la possibilità di un vertice con il leader della Corea del Sud, Moon Jae-in, in merito alla denuclearizzazione dell'intera Penisola. A oggi, i due Paesi sono formalmente in guerra. L'unico alleato manifesto di Pyongyang è la Cina, anche se va sottolineato come le relazioni tra i due Paesi siano altalenanti. Da una parte, Pyongyang è reticente ad adottare appieno il modello econonomico cinese, dall'altro Pechino ha adottato le sanzioni imposte alla Corea del Nord dalle Nazioni Unite in risposta ai test balistici e nucleari.

Prove cinesi

Le dichiarazioni di Pompeo seguono la visita di due giorni a Pyongyang del presidente cinese Xi Jinping, che è stata oggetto di grande attenzione da parte dei principali attori regionali. La visita, che ha preceduto di appena una settimana il summit del G-20 di Osaka, ha alimentato le speculazioni in merito alle intenzioni e agli obiettivi dei due leader comunisti di Cina e Corea del Nord. A margine del summit di Osaka, Xi ha ncontrato il presidente Usa per tentare di superare le ostilità commerciali tra le due maggiori economie globali, intensificatesi negli ultimi mesi. Trump ha in programma una sosta a Seul dopo il summit G-20, per discutere con il presidente sudcoreano Moon Jae-in le tematiche legate alla denuclearizzazione della Penisola. I primi sforzi volti a ripristinare le relazioni bilaterali sono stati compiuti lo scorso anno con la visita a sorpresa di Kim Jong-un a Pechino, nel marzo 2018, ricambiata recentemente da Xi. L'ultimo incontro è stato visto da Washington sotto i migliori auspici: “Il nostro obiettivo è di conseguire una denuclearizzazione definitiva e pienamente verificata della Repubblica Popolare Democratica di Corea (Corea del Nord), come concordato dal presidente Kim”, ha dichiarato all'agenzia di stampa “Yonhap” un funzionario dell'amministrazione presidenziale Usa. Secondo alcuni esperti, si deve a tale bilaterale il rilancio dei colloqui sulla denuclearizzazione nell'intera Penisola.