Perché rischiamo una guerra commerciale col Kenya

Pasta: simbolo dell'Italia nel mondo. Più della “cugina esterofila” pizza, che, per sua natura, si presta a una produzione e realizzazione dislocata. Potete trovare focacce buone – sia pur condite con ingredienti discutibili – ad ogni latitudine. Non è così per maccheroni, spaghetti, penne e co. Dovete acquistarli nel Bel Paese se volete abbiano il sapore e la consistenza giusta.

Il caso

Proprio la pasta, però, sta diventando il motivo del contendere con uno dei nostri maggiori partner commerciali del bacino africano: il Kenya, che solo nei primi nove mesi del 2018 ha importato prodotti italiani per un valore di circa 190 milioni di euro. Il caso, che rischia di scatenare una disputa commerciale fra Roma e Nairobi, è esploso a inizio anno, quando Il Kenya bureau of standards (Kebs) – autority preposta al controllo di qualità sull'import – ha bloccato l'ingresso sul suolo keniano di una partita di pasta italiana, considerata al di sotto degli standard richiesti

La nuova normativa

Lo stop è stato conseguenza della normativa sull'import adottata da Nairobi a ottobre. Le nuove regole, in sostanza, hanno introdotto diversi parametri qualitativi per ogni prodotto. Per ciascuna marca o tipologia di bene esportato in Kenya, la Kebs svolge analisi da hoc, con tutto ciò che ne consegue in termini di tempi e, quindi – nel caso degli alimenti – di rischi legati alla deperibilità del bene. Se l'esito del controllo è negativo, il prodotto viene respinto, il carico distrutto e il viaggio di ritorno pagato dall'azienda produttrice dello Stato di origine. Una bella grana, insomma, sia pur legata alla legittima aspirazione keniana a non vedersi rifilare prodotti scadenti, in particolare quelli provenienti dall'Asia

L'accordo

Previsto il possibile cortocircuito commerciale, l'ambasciata italiana si era subito mossa con il governo di Nairobi e poco prima di Natale era riuscita a raggiungere un accordo con il viceministro del Commercio, Betty Maina. In sostanza il Kenya si impegnava a non svolgere ulteriori controlli se l'azienda esportatrice avesse rilasciato una certificazione ad hoc sulla qualità dei prodotti e fossero state svolte, prima della partenza, analisi da parte dell'Sgs – azienda leader mondiale per i servizi di ispezione, verifica, analisi e certificazione – la cui autorità è riconosciuta ufficialmente anche dal Paese africano.

Bloccati

Cosa, però, non avvenuta a inizio anno, quando la Kbs – nonostante il protocollo fosse stato rispettato – ha comunque deciso di svolgere un proprio controllo su due partite di pasta, rilevando una percentuale di proteina inferiore agli standard e bloccando il relativo carico al porto. Entriamo nel dettaglio: Nairobi stabilisce, per quanto riguarda questo alimento, nel 10,5% il minimo di proteina consentito. Stando alla certificazione rilasciata dalla Sgs per conto di Divella – azienda italiana produttrice – la quantità era non inferiore al 13%, quindi ben al di sopra degli standard richiesti dal Kenya. Dopo le analisi della Kbs, tuttavia, la stima è stata abbassata all'8%, facendo scattare lo stop all'ingresso nel Paese. Misura che ha riguardato anche un'altra partita, prodotta da Ferrara, che a protestato con una lettera recapitata alla Kebs, al ministero keniano degli Esteri e alla nostra rappresentanza diplomatica a Nairobi. “Se il carico dovesse tornare indietro – si legge – ciò non solo nuocerebbe all'immagine della nostra azienda, fondata nel 1983, ma danneggerebbe i rapporti con uno dei nostri migliori clienti: la Luna Foods Stuff Limited (l'azienda africana importatrice ndr)”. La quale, per rimediare, si è offerta di pagare lo svolgimento di un nuovo test da parte della Kbs. L'ente governativo ha, però, risposto picche, sostenendo che le analisi erano state effettuate correttamente. 

Trattative

La querelle, da commerciale, è diventata politica. L'ambasciata italiana ha prima chiesto l'intervento dell'Unione europea – che sta affrontando problemi simili per conto di Paesi membri anche in settori diversi da quello alimentare – e ha poi chiesto un nuovo incontro al ministero locale del Commercio e alla Kebs, che, tuttavia, è piuttosto refrattaria a un confronto diretto.

Situazione difficile  

Roberto Miano, decano degli esportatori italiani in Kenya, dopo l'approvazione della normativa, a MalindiKenya.net, aveva già parlato di una situazione che sta “diventando insostenibile, anche per noi che facciamo da anni questo lavoro puntando sulla qualità dell’export italiano, oltre ad abolire la verifica dei prodotti sul posto e inviare ogni prodotto per analisi, il Kenya Bureau of Standards utilizza parametri diversi da quelli dell’Unione Europea e questo crea ulteriori problemi”. Eppure i prodotti italiani sono certificati dalle norme europee Iso che ne garantiscono la qualità, consentendone l’esportazione in gran parte dei Paesi del mondo. “Non solo – aveva aggiunto Miano – quasi tutte le aziende italiane che sono sul mercato keniano, hanno decenni di vita commerciale alle spalle in questo Paese in cui la presenza di prodotti alimentari italiani è sempre stata vista come una garanzia di qualità”.