Medio Oriente: Trump cerca “l'accordo del secolo”

Un anno fa Donald Trump inaugurava l'ambasciata americana in Israele a Gerusalemme, confermando – di fatto – il riconoscimento da parte degli Stati Uniti della Città Santa quale unica capitale dello Stato ebraico. Una mossa storica – foriera di nuove tensioni in una regione sempre sull'orlo dello scontro armato e in quanto tale non condivisa dall'Onu – con cui l'amministrazione a guida repubblicana ha cercato di modificare i presupposti su cui, sino a quel momento, si era giocata la difficile partita dei negoziati di pace

Recupero dei rapporti

L'intenzione di imprimere un cambio di passo nelle dinamiche israelo-palestinesi e di rinsaldare l'asse Washington-Tel Aviv (che aveva vissuto una fase critica sotto Barack Obama), del resto, era stata anticipata dalla nomina del “falco” filoisraeliano David Friedman quale ambasciatore americano in Israele.  

“Accordo del secolo”

E proprio Friedman – insieme al consigliere e genero di Trump Jared Kushner e all'inviato Usa in Medio Oriente, Jason Greenblatt – è autore di quello che la Casa Bianca in pompa magna già definisce “l'Accordo del secolo” per chiudere più di mezzo secolo di ostilità in Terra Santa. La bozza d'intesa, su cui i tre hanno lavorato per 2 anni, sarà resa nota solo il 10 giugno, dopo la chiusura del Ramadan, della festa ebraica dello Shavout e dell'iter di formazione del nuovo governo israeliano

Il piano

Pochissime le anticipazioni che Greenblatt – intervistato da Foxnews – si è lasciato sfuggire. “Quel che è certo – ha detto – è che non comprometteremo la sicurezza di Israele”. Maggiori dettagli sono emersi sulla Stampa e sul quotidiano Israel Hayom, che sostengono di essere entrati in possesso del documento. Il piano prevederebbe 30 miliardi di dollari di finanziamenti, il 20% erogati dagli Usa, il 10% dall'Ue e il 70% dai Paesi del Golfo in percentuali diverse a seconda delle rispettive produzioni di petrolio. Nella bozza sarebbe prevista, fra le altre cose, la costruzione di un'autostrada sopraelevata che rompa l'isolamento di Gaza (controllata da Hamas), collegandola alla Cisgiordania, un nuovo aeroporto e fabbriche. In sostanza il cuore del piano sarebbe rappresentato proprio da un rilancio economico, commerciale, sociale e infrastrutturale della Striscia. La bozza si occuperebbe anche dello status di Gerusalemme, che diventerebbe capitale dei due Stati. Difficilmente, però, tanto Hamas che l'Autorità nazionale palestinese accetterà alcune delle condizioni previste: disarmo delle milizie che governano Gaza, cessione a Tel Aviv delle colonie israeliane in Cisgiordania e nessun esercito in dotazione a Ramallah

Diffidenze e auspici

E, infatti, l'ambasciatore palestinese all'Onu si è già affrettato a definire il piano americano “un morto che cammina“. “Spero – ha detto Greenblatt di rimando – che il popolo palestinese abbia almeno la possibilità di vederlo”. Per i cittadini arabi comuni “è frustrante – ha aggiunto – li incontro spesso. Dicono che potrebbero non condividere alcuni passaggi del documento ma sono sconvolti dal fatto che i loro leader dicano di non volergli dare nemmeno uno sguardo“. L'inviato Usa, in ogni caso, auspica che l'Anp “ci aiuti a tagliare il traguardo“. Però, ha aggiunto, “spetta a loro decidere se proseguire sulla strada dei 'no', a spese dei loro cittadini. Se non vogliono impegnarsi in modo costruttivo, per verificare se ci siano le condizioni per raggiungere un accordo, allora dovrebbero vergognarsi”. Greenblatt ha poi risposto a chi sostiene che il documento abbia un tenore meramente economico. “Non è vero: è anche politico – ha precisato – una volta che le parti lo avranno letto e si saranno fatti un'idea ci saranno margini per una trattativa”.

“Non siamo in vendita”

Ma secondo il ministro degli Esteri dell'Anp, Ryad al-Maliki, sentito dall'Huffington Post, “quello che Trump e i suoi consiglieri chiamano 'accordo del secolo' è in realtà un documento di resa che si vorrebbe imporre ai palestinesi. Per quello che è già emerso siamo all’affossamento definitivo della ‘pace in cambio dei Territori occupati’. Lo scambio che viene ora proposto è quello della resa in cambio di dollari. Ma il diritto del popolo palestinese ad uno Stato indipendente non è in vendita. La nostra libertà non ha prezzo”. La strada verso la pace, insomma, resta lunga e tortuosa.