La Lituania fa i conti con il passato sovietico

Di poche ore fa la notizia: il tribunale di Vilnius, in Lituania, ha condannato al carcere l’ex ministro della Difesa dell’Urss Dmitrij Jarov nonché l’ex ufficiale del Kgb Michail Golovatov per crimini di guerra e crimini contro l’umanità in relazione a quanto accaduto il 13 gennaio del 1991 proprio nella capitale lituana, quando i reparti speciali Al’fa dell’esercito sovietico, per sedare le ispirazioni indipendentiste veicolate dal movimento democratico Sajudis, presero possesso del Parlamento della torre delle telecomunicazioni del Paese sparando sulla folla e causando 13 morti e 140 feriti, nonché un numero indefinito di dispersi. Stando a quanto annunciato dall’agenzia russa Interfaks, i giudici lituani hanno condannato in tutto 67 cittadini russi, ucraini e bielorussi per quanto accaduto il giorno più funesto della storia recente del Paese baltico, etichettando il tutto come “aggressione sovietica”. Soltanto due cittadini sono giunti in aula, tutti gli altri sono stati giudicati in contumacia.

Il 94enne Jazov fu uno dei protagonisti di quel giorno funesto in cui l’apparato politico dell’Urss diede palesi segni agonizzanti: le politiche della Perestrojka, nonché la figura di Gorbačëv, vennero fortemente macchiate dal comportamento repressivo sovietico adottato nei confronti dei Paesi baltici, da sempre slegati culturalmente alla realtà sovietico-socialista nonché desiderosi di una maggiore autonomia politica e libertà economica. Mosca ancora oggi interpreta i fatti in maniera diametralmente opposta, rifiutandosi categoricamente di collaborare con Vilnius per quanto concerne la cattura di chi all’epoca rispose affermativamente agli ordini e fece strage non riuscendo comunque a disinnescare la bomba dei separatismi locali. Già nel 2011 il già citato ufficiale del Kgb Golovatov venne arrestato all’aeroporto di Vienna per effetto di un mandato di cattura internazionale, ma venne estradato in Russia il giorno dopo, causando la reazione piccata del presidente lituano Dalia Gribauskaite nei confronti delle autorità austriache.