Il mistero dei soldati suicidi

Lontano dai riflettori dei circuiti mediatici occidentali, tra pochi mesi il conflitto che sta flagellando il Donbass compirà cinque anni senza che all’orizzonte si profili alcuna soluzione per un accordo tra l’Ucraina e le Repubbliche separatiste di Doneck e Lugansk che metta fine ai combattimenti. L’attenzione mediatica delle principali testate ed agenzie di stampa sta lentamente sfumando mentre sul fronte orientale ucraino i combattimenti proseguono seppur in una condizione controllata di “bassa intensità”. I tempi del Majdan e delle barricate in Piazza dell’Indipendenza a Kiev sembrano lontani anni luce, eppure sono passati solo più di quattro anni dall’evento che ha inevitabilmente alterato gli equilibri geopolitici mondiali, nonché incrinato forse definitivamente i già friabili rapporti tra la Russia e l’Occidente. Dopo gli entusiasmi iniziali, l’Ucraina è pian piano caduta in un vortice di instabilità politica e perdite territoriali, trovandosi impantanata in un’indesiderata guerra civile che non promette di regalare alcun finale conciliante tra le parti. Le steppe del Donbass, i loro inverni nevosi, le dotazioni obsolete e le difficoltà nell’affrontare in pochi kilometri quadrati un esercito di separatisti che in questi anni hanno dimostrato di poter gestire e consolidare il potere all’interno dei confini da loro difesi: Kiev e la sua strategia sembrano arrancare intorno al punto di non ritorno lungo la scia di un conflitto sanguinoso che, agli strateghi ucraini, sarebbe dovuto sembrare, evidentemente, molto più semplice da risolvere attraverso la forza.

Un dato allarmante

I dati sempre più allarmanti sulle condizioni dell’esercito ucraino stanno trovando, con il passare del tempo, sempre più spazio sui media nazionali, nonostante il governo di Porošenko sia impegnato a minimizzare riguardo al problema. Tutto ciò dopo che, nel mese di marzo, il Procuratore capo della Corte Marziale ucraina, Anatolij Matios, ha reso noto che, dall’inizio del 2018, già ben 33 soldati si sono suicidati al fronte. Sempre secondo il Procuratore, questi vanno a sommarsi al numero complessivi di suicidi tra le forze ucraine che, nel triennio 2014-2017, hanno toccato quota 554. Stando, invece, a quanto dichiarato recentemente dal Ministro della Difesa Stepan Poltorak, dall’inizio delle operazioni belliche nelle regioni orientali del Paese, l’esercito ucraino avrebbe perso in totale 3332 uomini, di cui 2394 nel corso dei combattimenti. Ammesso e non concesso che questi dati siano verificati (ed alcuni analisti russi hanno fatto notare come i numeri pubblicati non  coincidano con quanto affermato dalle agenzie internazionali e, soprattutto, non siano plausibili né congruenti rispetto al numero di mezzi militari persi dall’Ucraina in combattimento per sua stessa ammissione), su ogni quattro perdite, una avverrebbe per motivi estranei alla guerra. Sempre secondo Matios, ospite nel febbraio scorso sul canale “112 Ukraina”, nel 2017 gli episodi di suicidio sul fronte del Donbass sono avvenuti con la frequenza di due-tre a settimana.

Colpiti i giovani

La fascia di età più colpita sembra purtroppo essere quella più giovane: per lo più i nati nel 1997-1998, completamente impreparati non solo ad affrontare uno scenario difficilissimo come quello della guerra civile, ma anche la disorganizzazione e il caos che regna tra le file di un esercito impantanato in una guerra che non offre più le dovute motivazioni ai suoi uomini. Gli slogan del 2014, impregnati di retorica nazionalista in difesa della Patria contro i nemici moskaly, sembrano aver perso il loro slancio, a maggior ragione se si pensa che, dopo cinque anni di combattimenti, l’esercito ucraino non è riuscito a portare a termine con successo la cosiddetta Joint Venture Operation con la quale i separatisti dovevano essere sconfitti e le provincie di Doneck e Lugansk reintegrate. Al contrario, direttamente o indirettamente aiutate e rifornite da Mosca, le forze separatiste hanno mantenuto il controllo dei territori, arrivando addirittura a svolgere per la seconda volta le proprie autoproclamate “elezioni presidenziali”.

Un mercato nero

La galoppante crisi economica e i tagli allo stato sociale varati dal governo di Groisman e Porošenko hanno cancellato qualsiasi tipo di assistenza medica e, soprattutto, psicologica in fase post-traumatica per gli uomini impegnati al fronte. A tal proposito, già nel 2016 un interessante reportage presentato sulla rete ucraina ICTV da Vitalij Kovacz e realizzato dalla giornalista Tatjana Martenjuk ha svelato le condizioni estreme a cui sono sottoposti gli uomini in attesa di una chiamata dal fronte che probabilmente non arriverà mai. Paralizzati dalla neve e dalla scarsità di mezzi, abbandonati dai superiori e senza informazioni strategiche chiare, i soldati trovano unico beneficio nel mercato nero della vodka, nonostante il suo spaccio sia stato vietato al fronte.

Un Paese sul baratro

L’atteggiamento arrendevole, poco professionale e, a tratti, balordo dell’esercito ha già causato diverse vittime anche per via delle numerose disattenzioni che stanno peggiorando una situazione che ha sempre più del drammatico: secondo il portale russo Korrespondent.net dall’inizio dell’anno sarebbero morti 22 uomini per aver calpestato le loro stesse mine. L’ultimo episodio il 9 novembre scorso, quando due soldati ucraini palesemente ubriachi hanno provocato l’esplosione da loro stessi organizzata. Stando alle informazioni provenienti dalla Dnr, un uomo è morto mentre l’altro risulta gravemente ferito. Incidenti stradali, disattenzioni nell’utilizzo delle attrezzature, nonché sparatorie in stato di ubriachezza: l’esercito di Kiev sembra non capire più per quale motivo si sta combattendo questa guerra, né quanto e come la vittoria sia vicina. Ciò ha scatenato la reazione neanche troppo sommessa di alcune figure politiche ucraine, come l’ex Ministro dei trasporti e deputato della Verchovnaja Rada (il parlamento ucraino) Evgenij Černovenko, che non ha esitato ad accusare pubblicamente il comportamento poco professionale delle truppe. Porošenko punta già alle elezioni presidenziali del 2019 portando con sé cinque anni in cui, tra guerra civile, attentati, emigrazione galoppante, svalutazione della grivna e crisi energetica, l’Ucraina è sprofondata in un baratro senza fine.

Azioni vane

Mentre nel 2014 tra le barricate si sognava l’ingresso nell’Unione Europea tra le accorate visite di politici e membri delle cancellerie statunitensi, oggi Kiev è, senza rivali, fanalino di coda nella classifica continentale per benessere e sviluppo. E all’orizzonte sembrano presentarsi altri problemi etnici e sociali: le minoranze ungheresi della Transcarpazia premono per raggiungere livelli superiori di autonomia, motivo di repentino raffreddamento dei rapporti diplomatici con Budapest. Mentre, nel quasi totale silenzio del circuito mediatico, l’Ucraina implode, Mosca recupera terreno traendo profitto dalla sua strategia Wait and See adottata nei confronti di Kiev: le condizioni del Paese non permettono almomento alcun tipo di integrazione nelle strutture politiche e militari occidentali, rendendo le azioni rivoluzionarie del 2014 completamente vane. Dopo essersi assicurata la Crimea, nonché la diretta influenza sul Donbass, la Russia punta a ricucire un rapporto sul lungo periodo, contando sulla capacità di influenzare sensibilmente l’economia ucraina e le scelte strategiche dei suoi oligarchi. Del resto, l’inverno è alle porte. In assenza dei necessari servigi targati Gazprom, per Kiev si prospetta molto lungo…