Il futuro è asiatico

La nuova Via della Seta coinvolge 65 Paesi e punta anche all'Africa e al Pacifico. “Il secolo asiatico?”, ultimo libro di Parag Khanna (Fazi editore), affronta con precisione e in modo documentato la questione centrale negli equilibri mondiali della presenza dell'Asia e della sua capacità di influenza. Napoleone, parlando della Cina sembra abbia detto: “Lasciatela dormire, perché al suo risveglio il mondo tremerà”. Ma l'autore, riferisce l’Agi, affronta la questione-asiatica in modo più complesso: ad esempio fornisce una interpretazione dell'Asia più moderna: geograficamente spiega si estende dal Mediterraneo e dal Mar Rosso fino al Pacifico, abbracciando due terzi del continente euroasiatico e comprendendo 53 Paesi e quasi 5 miliardi di persone di cui 1,5 miliardi in Cina. “Il secolo asiatico, dunque, avrà inizio quando l'Asia – spiega Parag Khanna – si cristallizzerà in un tutto maggiore della somma delle parti. Questo processo è già iniziato”. E cita l'evento clou, a volto sottovalutato a volte demonizzato, che è il 2017 con il primo vertice della “Belt and Road Iniziative” (Bri), che ha visto a Pechino 68 nazioni, rappresentanti dei 2/3 della popolazione mondiale e metà del Pil mondiale lanciare la sfida della “Via della seta”.

Il Piano Marshall del terzo millennio

Tra il 2015 ed il 2030 si prevede che i consumi della classe media si incrementeranno di 30 mila miliardi di dollari e si stima che il contributo della odierna economia occidentale sarà di 1000 miliardi. Il grosso verrà dall'Asia. Nel XXI secolo questo appuntamento e il processo che ha innescato – spiega all’Agi l'autore – “è pari per importanza alla creazione dell'Onu, della Banca Mondiale al Piano Marshall“. Certo il mondo è cambiato le sfide delle varie aree regionali non sono le stesse di qualche decennio fa: dal 2001, da quel 11 settembre, fino alla vittoria di Donald Trump nel 2016, passando per la guerra in Iraq nel 2003 e la crisi finanziaria 2007-2008, ogni problema si è accelerato o bloccato. “Vent'anni che saranno ricordati – spiega l'autore – come uno spartiacque rispetto ai precedenti decenni di dominazione occidentale”. Ed in questo l'Asia ha trovato un suo spazio ed una sua autonomia: difatti mentre l'Occidente era impegnato a vincere la guerra fredda, l'Asia ha iniziato a recuperare terreno, sia dal punto di vista economico e sociale che diplomatico. Chi però pensa ad un “G2” che porti alla testa della piramide mondiale Stati Uniti e Cina sbaglia, secondo la valutazione di Parag Khanna. “Oggi – spiega all’Agi- a quasi 30 anni dalla fine della Guerra fredda all'avvento di una nuova fase in cui l'Asia si sta ricompattando in un sistema coerente”. Certo le differenze, i contrasti, le guerre ancora si sono e si saranno (conflitto sunnita-sciita, Israele-arabi, Cina e dispute territoriale con India, Vietnam e Giappone) ma il “sistema asiatico nascerà, anche se non avrà il volto codificato dell'”Unione asiatica”, stile Europa, ma avrà un “approccio per la gestione delle questioni potenzialmente pericolose”.

900 miliardi di dollari

Per Khanna, evidenzia l’Agi, si avvicina un “ordine multipolare e multicivilizzato in cui Europa, Nord America e Asia rappresentano ciascuno una quota importante di potere”. Secondo quanto “One Belt, One Road”, abbreviato nell'acronimo “Obor” o “Bri” il progetto cinese di una Via della Seta in chiave contemporanea destinata, documenta l’Ansa, a collegare l'Asia all'Europa e all'Africa, ma soprattutto a mettere la Cina moderna al centro dei traffici e a ridisegnare di conseguenza gli equilibri economici e geopolitici mondiali. E', chiarisce l’Ansa, una rete di collegamenti infrastrutturali, marittimi e terrestri basata su due direttrici principali: una continentale, dalla parte occidentale della Cina all'Europa del Nord attraverso l'Asia Centrale e il Medio Oriente, ed un'altra marittima tra le coste del Dragone ed il Mediterraneo, passando anche per l'Oceano Indiano. Il piano, annunciato nel 2013 dal presidente cinese Xi Jinping e spiegato dal primo ministro Li Keqiang nel corso di diversi viaggi in Europa e in Asia, punta a coinvolgere 65 Paesi che raccolgono circa il 65% della popolazione mondiale e il 40% del Pil. La sua realizzazione avrebbe un costo di almeno 900 miliardi di dollari, una cifra enorme che neanche il colosso cinese può gestire da solo. Nel 2014 Pechino ha lanciato il Silk Road Fund (China Investment Corporation-Export and Import Bank-China Development Bank), un fondo da 40 miliardi volto ad attrarre investimenti esteri.

Flussi economici

Altri 100 miliardi di dollari, precisa, l’Ansa, verrebbero dalla Banca Asiatica d'investimento per le infrastrutture (Aiib), una banca di sviluppo alla quale partecipano vari Paesi europei. Una rete che potrebbe ora facilmente allargarsi e rendere possibile uno dei più grandi investimenti infrastrutturali di sempre. Nel dettaglio, i collegamenti terrestri e ferroviari viaggerebbero su tre principali direttrici: la prima va dalla all'Europa attraversando Kazakhstan, Russia e Polonia verso il Mar Baltico. La seconda segue sostanzialmente la linea della Transiberiana, mentre l'ultima, più a sud, passerebbe per il Golfo Persico, toccando Islamabad, Teheran e Istanbul. Due, invece, le rotte marittime: la prima partirebbe dal porto cinese di Fuzhou e attraverso l'Oceano Indiano e il mar Rosso toccherebbe l'Africa e giungerebbe in Europa, coinvolgendo in Italia i porti di nordest; la seconda, sempre da Fuzhou punterebbe verso le isole del Pacifico. Il tutto, racconta l’Ansa, aprirebbe poi la strada a gasdotti e oleodotti. L'intera mappa dei flussi economici mondiali potrebbe uscirne ridisegnata, seppure nell'arco di decenni.