I sauditi e la cybersecurity italiana

Continua a estendersi l'onda d'urto del caso Khashoggi, tanto che le i raggi iniziano ad arrivare in Europa. In Italia per la precisione, dove gli Stati Uniti puntano il dito contro una società di cybersecuirty tricolore che avrebbe fornito il proprio contributo al potenziamento dei sistemi cybernetici dell'Arabia Saudita, in particolare del principe Mohammed bin Salman. Sistemi che, secondo l'analisi del columnist del Wp David Ignatius, sarebbero usati per contrastare le organizzazioni terroristiche ma anche per contrastare eventuali dissidenti del principato, come nel caso del giornalista del Washington post. Ed è proprio dal quotidiano del District of Columbia che arriva la notizia che andrebbe a coinvolgere la società italiana non nello specifico del caso Khashoggi ma, più in generale, del contributo al rafforzamento di tali sistemi da parte dell'Intelligence saudita.

Il nome di al-Qathani

Anche l'articolo del Wp si astiene dall'indicare l'azienda italiana come coinvolta nel caso Khashoggi. La società, circa tre anni e mezzo fa, aveva ottenuto l'ok alla commercializzazione di software in 46 Paesi (compreso l'Egitto, tanto che il nome dell'azienda era emerso nell'ambito delle varie indagini sul caso Regeni). Il quotidiano del D.C., in particolare, fa il nome dell'avvocato Saud al-Qathani, ex membro dell'aeronautica militare saudita e dirigente a Riyad del Center for studies and Media affairs: sarebbe lui ad aver lavorato nell'azienda milanese assiema al suo pool, per poi acquistare prodotti realizzati da due compagnie israeliane (la Nso Group e la Q Cyber Technologies) e da una degli Emirati, la DarkMatter.

Il rapporto

Il nome di al-Qathani emerse anche nel 2015 quando, mentre l'azienda milanese vedeva ridotto il proprio raggio commerciale a causa della pubblicazione di alcuni dossier di WikiLeakes, l'ex ufficiale saudita iniziava ad ampliare la sua influenza su bin Salman. Ma non solo. Nello stesso anno, come scrive ancora Ignatius sul Wp, il rapporto tra la società e l'Arabia Saudita è diventato più forte poiché, con le difficoltà incontrate per la pubblicazione dei documenti da parte di WikiLeakes,“apparentemente sono intervenuti investitori sauditi. Una società con sede a Cipro denominata Tablem Limited, guidata da un uomo d'affari della famiglia Al-Qahtani, ha acquisito una quota del 20% a metà 2016″.