“Così riparte la corsa agli armamenti”

La sospensione unilaterale del Trattato sulle armi nucelari a medio raggio (Inf) da parte americana segna uno nuovo passaggio nel progressivo deterioramento dei rapporti fra Stati Uniti e Russia. Cosa comporta questo a livello di equilibri globali? Ci troviamo sull'orlo di una nuova Guerra Fredda? Ne abbiamo parlato con il prof. Aldo Ferrari, docente di storia della Russia all'università Ca' Foscari di Venezia e responsabile del programma “Russia; Caucaso e Asia centrale” dell'Istituto per gli studi di politica internazionale (Ispi).

L'Inf è stato uno dei capisaldi della fine della Guerra Fredda. Possiamo dire che la corsa agli armamenti è ufficialmente ripartita?
“Direi di sì, anche se, in parte, era già ricominciata. I russi negli ultimi due anni hanno pubblicizzato nuovi armi balistiche ultramoderne. Tutto, in ogni caso, va ricondotto alla politica estera avviata dall'amministrazione Trump che sta modificando profondamente le dinamiche precedenti”. 

In che modo?
“Gli Usa si stanno muovendo in modo molto più reattivo e concentrato su obiettivi immediati di potenza. In generale, tuttavia, è l'intero quadro dei rapporti fra Russia e Occidente a essere problematico. Una situazione difficile, tendente al peggioramento, all'interno della quale si inserisce l'escalation balistica”. 

Ha parlato dell'enfasi con cui Mosca ha pubblicizzato i suoi nuovi missili. Quindi, in un certo senso, ha ragione Trump nel sostenere che la Russia abbia a più riprese violato il trattato…
“In parte sì. Va però detto che anche i russi accusano gli americani di averlo violato. Il centro della questione però non è rappresentata dalle singole infrazioni al trattato ma nella reciproca mancanza di fiducia da parte di Mosca e Washington. Quella stessa fiducia che, nel 1987, aveva consentito alle due superpotenze di parlarsi e di procedere con una ragionevole sicurezza sulla serietà della controparte. Ora questo aspetto non esiste più e alcune dinamiche, che già si stavano modificando, sono in via di peggioramento. E' in questo percorso di deterioramento dei rapporti che va inquadrata la questione dell'Inf”. 

Eppure in una prima fase i rapporti fra Putin e Trump sembravano tutt'altro che pessimi…
“E' vero. Trump prima di essere eletto avrebbe voluto cambiare i rapporti fra il suo Paese e la Russia. Ma persino negli Stati Uniti il presidente non è onnipotente e deve confrontarsi con un establishment – sia democratica che repubblicana – convintamente anti-russa, come prima era anti-sovietica. Nemmeno la Casa Bianca può permettersi di andare contro questa inerzia del corpo dirigenziale, sia militare che diplomatico. C'è poi un'altro aspetto…”

Quale?
“Trump ha la precisa volontà di dimostrare che gli Stati Uniti sono più forti. E' una prospettiva che a Mosca capiscono molto bene, anche i russi partecipano a questa esibizione muscolare”.

E' questo che tendeva quando parlava di un cambiamento dei paradigmi della politca estera americana? 
“Esatto. Con Bush e Obama gli Stati Uniti predicavano bene e razzolavano male, cioè facevano della politica di potenza ammantandola con ideali di diffusione della democrazia. Con Trump il tutto è diventato molto più semplice e sincero: gli Usa devono essere più forti. Punto. I russi capiscono questo tipo di atteggiamento. Per cui la situazione è sì pericolosa, ma anche chiara. E questo può essere persino vantaggioso..”

In che senso?
“Perché da parte occidentale non c'è più la pretesa di proclamarsi paladini dell'ordinamento internazionale violandolo in continuazione. Gli Usa hanno abbandonato l'idea di esportare la democrazia, vogliono semplicemente affermare il proprio primato nel mondo. La Russia non può fare altrettanto ma capisce la realpolitik. Quindi, da un certo punto di vista, le parti comprendono meglio le reciproche intenzioni”. 

E forse, con l'indagine Russiagate in corso, a Trump può far comodo alzare i toni e marcare le distanze da Mosca…
“Naturalmente, può fargli comodo. Anche se resta un fatto: il principale avversario degli Stati Uniti, in questo momento, non è la Russia ma la Cina. Proseguire sulla strada della contrapposizione con i russi non è utile all'interesse nazionale americano, visto che Mosca, senza volerlo, in questo modo si sta avvicinando a Pechino”. 

Ma se, come dice, Washington vuole primeggiare a livello globale, perché ritirarsi dalla Siria, lasciando campo aperto a Mosca?
“E' una politica calcolata. Gli Stati Uniti stanno ripensando i propri impegni internazionali. Lo stanno facendo nel Vicino Oriente abbandonando molte posizioni e lo stanno facendo all'interno nella Nato chiedendo agli altri Paesi di spendere più nell'Alleanza. L'America oggi ragiona da grande azienda, valutando guadagni e perdite e razionalizzando le spese”. 

Un altro terreno di confronto, in questi giorni, è quello del Venezuela. Il sostegno di Mosca a Maduro si giustifica solo in nome della vecchia alleanza col regime chavista?
“La Russia non vuole ingerenze di attori esterni nelle dinamiche interne ai Paesi. E' una caposaldo della sua politica. La vedo, quindi, più come la riaffermazione di un principio che come l'interesse per un alleanza poco significativa per Mosca”.

Nel Paese sudamericano molti temono uno scenario simil-libico. E' possibile?
“Ogni situazione è specifica. Il Venezuela non ha la dimensione tribale della Libia. Il rischio concreto è quello di una guerra civile, visto che Maduro continua a essere sostenuto dall'esercito e da parte della popolazione”.