Brexit. “No deal? Uno tsunami economico e politico” 

Nel giorno in cui i membri parlamentari del Partito conservatore eleggono i due destinati a giocarsi il ballottaggio decisivo per diventare successore di Theresa May come leader Tory e premier britannico, volano stracci all'interno del partito. In netto vantaggio sugli altri candidati è Boris Johnson, l'ex sindaco di Londra e già ministro degli Esteri britannico dovrà vedersela poi al ballottaggio (i cui risultati saranno annunciati a fine luglio) con tre ministri in carica del governo uscente, Jeremy Hunt (Esteri), Michael Gove (Ambiente) e Sajid Javid (Interno). Il voto sarà anche un nuovo referendum, tutto interno ai conservatori, sulla Brexit: Johnson è alfiere del no deal, ossia di un'uscita della Gran Bretagna dall'Unione europea senza compromessi. La linea dell'ex primo cittadino londinese è osteggiata invece dai suoi tre concorrenti, impegnati a portare a termine la Brexit, ma con più cautele.

Un secondo referendum?

Le tappe dell'uscita di Londra dall'Europa sono dunque le seguenti: oggi pomeriggio si saprà il nome dell'avversario di Johnson per la carica di primo ministro, a fine luglio si saprà chi tra i due sarà il vincitore ed entrerà a Downing Street ed, infine, il 31 ottobre ci sarà l'attesa uscita della Gran Bretagna dall'Unione. Uscita che, se avverrà con il no deal, potrebbe rappresentare uno tsunami economico e politico nel Regno. Il monito arriva dal cancelliere dello Scacchiere in carica, ossia il ministro delle Finanze, Philip Hammond, contrario ad un'uscita senza cautele. Di fronte a esponenti della finanza per una cena-evento alla Mansion House di Londra, Hammnd ha detto che un taglio netto con l'Ue comporterebbe costi in grado di azzerare il fondo di emergenza da 26,6 miliardi di sterline accantonati dal Tesoro sotto la sua gestione e di cancellare i piani di spesa del futuro premier in altri settori. Sul fronte politico potrebbe inoltre mettere “a rischio” l'unità del Regno, dalla Scozia all'Irlanda del Nord. Di qui la richiesta di “un piano B” sulla Brexit: non senza accenni, in caso contrario, alla possibile adesione sua (e magari di altri Tory moderati) alla campagna per un secondo referendum.