Arrestati i primi sette profughi eritrei

Israele aveva annunciato il pugno di ferro nei confronti dei profughi e puntualmente le autorità hanno iniziato a mettere in atto quanto annunciato a gennaio: circa 40.000 eritrei e sudanesi devono lasciare il Paese entro aprile o saranno arrestati. Ieri, come riporta il sito Asianews, i primi sette fermi, tutti eritrei. Sono stati convocati per i colloqui pre-espulsione e poi trasferiti nella prigione di Saharonim. In precedenza, erano detenuti ad Holot, una struttura detentiva istituita quattro anni fa nel deserto del Negev per trattenere i richiedenti asilo. Ma il governo in cinque anni ha concesso lo status di rifugiato soltanto a un sudanese e dieci eritrei, meno dell'1% delle richieste.

Due degli eritruei arrestati hanno subito torture nel Sinai ma a nessuno di loro è stato riconosciuto l’asilo politico. Usciranno di prigione solo se accettaranno l’espulsione. Per protesta contro gli arresti, i profughi detenuti nel campo di Holot hanno lanciato uno sciopero della fame: “Nessuno sta mangiando. Ci dicono che è un peccato buttare via il cibo. Noi diciamo che si stanno buttando via anche delle vite”. Dei 900 richiedenti asilo trattenuti ad Holot, 100 hanno ricevuto la notifica di espulsione.

Il governo afferma di volerne espellere 7.200 all’anno. Da parte sua il servizio detentivo israeliano avvisa che non ha posto per trattenere le migliaia di richiedenti che rifiuteranno l’espulsione, ma di avere spazio al massimo per 1.000 profughi.

La ong israeliana The Hotline for Refugees and Migrants ha lanciato da tempo l'allarme. Negli anni scorsi circa 4.000 richiedenti asilo avevano accettato i 3.500 dollari offerti da Israele per lasciare il Paese ed essere “accolti” in altre nazioni che hanno un accordo segreto con Tel Aviv. Si tratta di Ruanda e Uganda dove però i rifugiati non sono stati trattati come promesso: secondo alcune testimonianze, sono stati privati dei documenti e derubati. Per questo chi ha potuto ha intrapreso un nuovo viaggio verso l'Europa attraverso la Libia.