America Latina al voto: scenari e rischi

All'apparenza potrebbe sembrare una realtà lontana, quasi “alla fine del mondo” per usare l'espressione di Papa Francesco. Ma nel contesto della globlalizzazione anche quanto accade in America Latina ha i suoi riflessi e la sua importanza negli equilibri geopolitici mondiali. E questo è un anno particolare per l'America centromeridionale, con ben sei Paesi chiamati alle elezioni presidenziali e uno, Cuba, interessato da una successione interna che potrebbe influire non poco sui futuri rapporti dell'area. Circa 350 milioni di elettori sono chiamati alle urne: l'analisi su dove sta andando l'America Latina è stata al centro dell'incontro promosso dall'osservatorio Mediatrends America, con il professor Federico Argentieri, direttore del Guarini Institute for Public Affairs della John Cabot University, Roberto Da Rin, del Sole 24 Ore, e Gianni La Bella, portavoce della Comunità di S. Egidio per l'America Latina.

Il caso Costa Rica

Costa Rica, Colombia, Paraguay, Messico, Brasile e Venezuela, in ordine cronologico, sono i sei Paesi interessati dalle elezioni. In Costa Rica si è già tenuto il primo turno e il ballottaggio è previsto per il 1. aprile. Un caso interessante, perché si tratta di una delle democrazie più forti e stabili dell'area (tra l'altro senza forze armate). E non sono mancate le sorprese: in testa, infatti, è finito un outsider, Fabricio Alvarado, un evangelico conservatore, che al ballottaggio sfiderà l'ex ministro del lavoro Carlos Alvarado Quesada, del Partito Azione Cittadina attualmente al governo. Il motivo è da ricercare nell'elemento che ha caratterizzato la campagna elettorale: i matrimoni gay. A gennaio, infatti, la Corte Interamericana dei diritti umani aveva emesso una sentenza, su richiesta del governo, con cui affermava che il piccolo Paese avrebbe dovuto garantire le nozze omosessuali e pari diritti ai contraenti. Una decisione alla quale sono contrari due terzi degli elettori che hanno così premiato Fabricio Alvarado, andato controcorrente su questo tema. Ma ci sono stati altri aspetti rilevanti sul voto che sono stati analizzati da Cristina Eguizábal Mendoza, ambasciatrice del Costa Rica in Italia: “Prima di tutto c'è la crisi dei partiti politici tradizionali, causata anche dalla corruzione; partiti che non sono più reti sociali aggreganti. Il secondo aspetto è che i partiti non erano preparati ad un ruolo politico attivo della classe media. Infine, ci sono i 'canti della sirena' dei populismi di destra e di sinistra e, particolarmente in Costa Rica, è forte il populismo evangelico che ha cavalcato l'imposizione della legalizzazione delle nozze gay”.

I fattori in gioco

Al di là di come finiranno le elezioni in Costa Rica, una “lettura unificante è difficile”, secondo il professor La Bella, docente di Storia contemporanea all'Università di Modena e Reggio Emilia. “Non corrisponde alla realtà l'antica teoria del pendolo, secondo la quale in America Latina è finita la fase del socialismo rosa ed è cominciata quella della destra al potere, come dimostrerebbero le recenti elezioni in Cile e Argentina. Questo è un approccio europeo alla realtà sudamericana ma ci sono chiavi interpretative nuove e trasformazioni profonde e complesse”. Tra gli aspetti evidenziati da La Bella ci sono “l'avvento di Trump che ha innescato una nuova ondata di antiamericanismo, soprattutto dopo gli insulti ai popoli straccioni; la questione legata alla fine dell'eldorado delle materie prime, con il macigno del debito pubblico crescente; un passaggio egemonico dalla predominanza nell'area di stampo anglosassone a quella di russi e cinesi; la crisi dell'integrazione, che vede i singoli Paesi latinoamericani sempre più soli nonostante il proliferare di sigle e unioni; infine, il ruolo della Chiesa: l'America Latina non è più l'Occidente estremo ma non è più nemmeno il continente cattolico“.

Lo scenario

Riferendosi ai singoli Paesi, La Bella ha sottolineato come il “Brasile si trovi in una fase di eterna transizione, con una paura del futuro e un drammatico scollamento tra la politica e l'elettorato. Per questo le elezioni si trasformeranno in un referendum pro o contro Lula, che riscuote ancora un consenso impressionante ma c'è anche una fortissima voglia di cambiamento. In Messico ci sono i problemi storici della criminalità e del narcotraffico, una violenza che non risparmia preti, giornalisti e sindaci”. Qui la sfida sarà tra il presidente uscente Peña Nieto, Obrador, in vantaggio nei sondaggi, e Anaya Cortes. Il tutto “in piena trattativa per la rinegoziazione del Nafta e con il tema della legalità” sullo sfondo. La Colombia è il Paese meglio conosciuto da La Bella: “La pace avanza ma la violenza resta – è la sua sintesi – Il negoziato si è di fatto impantanato nella sua realizzazione pratica. Il negoziato con l'Eln è sospeso, anche perché non ha voglia di firmare la pace ed è eterodiretto dal Venezuela. La pace a questo punto non è l'oggetto principale della campagna elettorale: c'è voglia di voltare pagina e rimettere le cose a posto”. Infine il Venezuela per il quale La Bella ha evidenziato “l'insensatezza della comunità occidentale nel lasciare alla deriva un Paese che rischia di destabilizzare un'area immensa”.

Maduro resta saldo (per ora)

E proprio sul Venezuela, dove si dovrebbe votare a fine anno (ma visti i precedenti il condizionale è d'obbligo) si è soffermato Da Rin: “Gli analisti prevedono un aumento del prezzo del petrolio e se toccherà gli 80 dollari al barile potrebbe risolvere molti dei problemi di Maduro e farlo andare avanti nella sua linea intransigente di assenza di dialogo”. Ma non è l'unico elemento a favore del dittatore chavista: “Da una parte c'è un'opposizione poco coesa, dall'altro il sostegno di Russia e Cina: negli ultimi 10 anni il flusso di aiuti e investimenti cinesi è stato enorme e questo dà forza a Maduro e riduce lo spazio democratico”. Eppure il Paese chiede cambiamenti: con l'inflazione che oscilla tra l'800 e il 1200% spesso l'unico mezzo di sostentamento è il “carnet della patria“, una sorta di tessera annonaria con cui acquistare il cibo che ha “cubanizzato” il Venezuela ma divide ancora di più perché non tutti ce l'hanno. Sul Messico Da Rin ha sottolineato che sta accadendo una replica delle elezioni americane con un “condizionamento da parte della Russia, con lo stesso sistema di hackeraggio. Il petrolio è al centro degli interessi”.

Il ruolo degli Stati Uniti

Infine, uno degli aspetti su cui si è soffermato il professor Argentieri è il ruolo degli Stati Uniti: “Dopo la dottrina Monroe” dell'Ottocento e quella “di Roosevelt” all'inizio del Novecento, “il terzo evento che ha caratterizzato la politica americana è stata la costituzione dell'Oea, una sorta di Nato delle Americhe”. In tutto questo veniva ribadita una supremazia degli Usa: “Obama chiuse con questa filosofia e con questa prassi con il suo viaggio a Cuba”, Paese elevato al rango di “normale interlocutore, sulla base di comprensione e rispetto. Era la fine dell'arroganza“. Ora, con Raul Castro che ha già annunciato l'intenzione di cedere il passo (il 19 aprile), “non sembra esserci un Gorbaciov cubano all'orizzonte. Il clima con Trump non è favorevole ma anche all'epoca di Gorbaciov c'era Reagan e il clima non era positivo. In ogni caso – ha concluso – Trump è una grande disgrazia per l'America Latina”.