Violentate due volte

Immaginate un corpo in una cella frigorifera in un obitorio di provincia. Sembra l’inizio di un romanzo giallo, invece è la tragica realtà che spesso le vittime della tratta a scopo di prostituzione coatta sperimentano sulla loro pelle: violentate due volte, prima dalla sopraffazione disumana degli sfruttatori e dei cosiddetti clienti e poi dall’indifferenza colpevole della società in morte. Nessuno le reclama, nessuno sente il dovere di dare loro una degna sepoltura. I loro familiari, se solo ne fossero informati, non avrebbero neppure una tomba sulla quale poter deporre un fiore.

La storia purtroppo non è una linea retta: la condizione femminile è solo apparentemente migliorata negli ultimi decenni. In realtà, nelle altre epoche storiche, la considerazione e il rispetto quasi sacrale che suscitavano le mogli, madri, custodi del focolare domestico arrivava a prevedere persino figure istituzionali appositamente adibite alla loro salvaguardia. È l’esempio emblematico e fondamentale del defensor ventris che nell’antica Roma salvaguardava l’incolumità dell’universo femminile in quanto esclusivo depositario della vita.

Chi feriva o mutilava una donna, privandola della sua capacità riproduttiva, veniva punito come nemico della civiltà e il femminicidio (nome moderno di un reato antico) veniva equiparato a un crimine contro l’umanità. Fare del male ad una donna corrisponde a recidere il filo dell’esistenza collettiva.

Il movimento di “liberazione” della componente femminile della società contemporanea ha ottenuto alcune apparenti e limitate conquiste. Inoltre ha avuto l’inconsapevole effetto di destabilizzare l’identità e il ruolo del maschio. In un momento nel quale va di moda confondere le necessarie e preziose differenze con le odiose discriminazioni di genere, si contribuisce a terremotare l’impostazione antropologica e psicologica della collettività. E ciò a partire proprio dalle nuove generazioni irretite dalle identità “fluide” e dalle appartenenze fugaci. Un uomo indebolito e delegittimato in quello che era il suo compito specifico di difensore del nido e di garante della sicurezza della famiglia e della società è attualmente un soggetto più instabile, meno responsabilizzato e affidabile, quindi potenzialmente incline ad esplosioni di violenza come reazione alla propria profonda e lacerante insicurezza.

Tanto più grave è alzare una mano contro una donna quando a macchiarsi di questa orrenda colpa è proprio colui che dovrebbe custodirla, difenderla, metterla al centro della propria vocazione esistenziale. La saggezza popolare aiuta a capire questa perversa dinamica: chi non è capace di servire la Regina non potrà mai essere Re.

Anche la Sacra Scrittura è piena di riferimenti: “Beato il marito di una donna virtuosa”. Saggezza millenaria “come il sigillo sul cuore”, che il Cantico dei Cantici pone a garanzia dell’amore coniugale. Non pretendiamo la sapienza di Re Salomone, però, nessuno di noi ricorda una sequela così atroce di crimini contro la galassia femminile come quelli ai quali assistiamo inermi e storditi negli ultimi anni. Un flash tra i tanti: la trentenne trucidata in stato di gravidanza dall’amante privo di pietà che dopo aver spezzato due vita è andato come se nulla fosse dal barbiere.

E questo accade ogni giorno nell’Occidente considerato progredito. Dei delitti perpetrati contro le donne nel resto del mondo, soprattutto nei Paesi più poveri, neppure i media locali si occupano più, tanto sono frequenti e circondati da un’omertà aberrante.

Oggi la giornata che ricorda l’escalation di violenze sulle donne, ma a mobilitarsi dovrebbero essere innanzitutto gli uomini, perché a bloccare questa autentica epidemia sociale dovrebbe essere la nostra metà del cielo, quella purtroppo che non sa farsi più carico del mandato di tutela che la natura affida al genere maschile. Se ne è reso conto persino il solitamente distratto mondo della comunicazione globalizzata che, statistiche alla mano, documenta come il modello nordico nelle relazioni uomo-donna, (specialmente nella penisola scandinava) funziona da termometro. Più le donne sono discriminate e sottoposte a soprusi, meno un Paese può svilupparsi socialmente e anche economicamente.

Insomma il modo nel quale vengono trattate le nostre sorelle, madri e mogli è il metro di giudizio per classificare il grado di civiltà di un popolo. Più si è misogini più si è arretrati.

Scaricare sulla parte fisicamente più debole della società l’aggressività collettiva equivale a condannare una comunità al degrado, al declino, alla marginalità rispetto alle grandi dinamiche mondiali. Un Paese che non difende la vita nascente e colei che ne è l’artefice, non può sedere al tavolo del terzo millennio ed è reputato universalmente come retrogrado e privo di futuro.