Editoriale

L’uomo è chiamato a essere profeta della pace e della nonviolenza

L’uomo, creato ad immagine somigliantissima di Dio e redento da Cristo, è chiamato ad essere profeta della pace e della nonvio­lenza, superando discriminazioni di ogni tipo, fra vicini e lon­tani, fra amici e nemici. La storia umana, in virtù del mistero della creazione e dell’incarnazione, trova inscritta in sé la vocazione all’unità, alla partecipazione della vita di Amore che incessantemente flui­sce all’interno della Trinità, in una parola, alla pace.

La nuova immagine di Dio, rivelata dal Signore Gesù, fonda ed esige fra le persone nuovi rapporti, contrasse­gnati dalla fraternità, dalla concordia e dal perdono, dalla verità e dalla giustizia, dalla solidarietà. La croce di Gesù è denuncia della violenza, non accettazione passiva di essa; è sollecitazione ad un impegno d’amore e di giustizia. Gesù Cristo rivela la nostra «vocazione» alla pace, alla nonviolenza. Il Dio rivelato da Gesù Cristo non è un Dio violento, un Dio della guerra santa. Dire che Dio vuole la guerra e la violenza è bestemmiarlo.

Ecco quanto papa Francesco scrive nel suo Messaggio per la celebrazione della giornata mondiale della pace (1 gennaio 2017): «Lo ribadisco con forza: “Nessuna religione è terrorista”. La violenza è una profanazione del nome di Dio. Non stanchiamoci mai di ripeterlo: “Mai il nome di Dio può giustificare la violenza. Solo la pace è santa. Solo la pace è santa, non la guerra!”». Il Dio dei cristiani è un Dio pacifico, che si fa vicino come colui che perdona, redime e umanizza divinizzando.

Rivelando Dio, la sua misericordia, Gesù Cristo rivela all’uomo il suo destino: l’Amore trinitario, principio e fine dell’esistenza. Visibilizzazione del Padre, presentandosi con i tratti del «Servo sofferente», il Signore Gesù viene ad assumere e a risignificare la storia dell’uomo. Ne vuole cambiare il corso senza l’appoggio degli eserciti. Mentre viene catturato, ordina a Pietro: «Rimetti la spada nel fode­ro, perché tutti quelli che mettono mano alla spada periranno di spada. Pensi forse che io non possa pregare il Padre mio, che mi darebbe subito più di dodici legioni di angeli? Ma come allora si adempirebbero le Scritture, secondo le quali così deve avvenire?» (Mt 26,52-54). Con queste parole, Egli vuole interrompere la spi­rale di violenza che si sta abbattendo su di lui. Alla violenza risponde con la nonviolenza. È profondamente consapevole dei rapporti aggressivi, che determinano le strutture della realtà esistente: la violenza chiama violenza; chi pratica violenza subisce violenza e, facilmente, mette in atto altra violenza. La catena si interrompe solo rinunciando alla violenza.

Ma ciò non implica subirla con passiva rassegnazione. Si ri­nuncia alla violenza non perché si è impotenti ‒ Gesù non è in­difeso. Ha a sua disposizione un enorme potenziale di forza, contro il quale la violenza terrena non potrebbe che in­frangersi ‒, ma vi rinuncia con la forza dell’Amore e del perdono, seppure umanamente “costosi”. Colui che, per amore di Dio e dell’uomo, smaschera le strutture di violenza non può sfuggire alla reazione che la violenza immancabilmente gli scatenerà contro. Preparandosi al terribile sacrificio, prima ancora di essere catturato Egli confida agli apostoli e alla folla: «È giunta l’ora che sia glorificato il figlio dell’uomo» (Gv 12, 23). «Ora l’anima mia è turbata; e che devo dire? Padre, glorifi­ca il tuo nome» (Gv 12, 27-28).

Cosciente d’essere l’Uomo Nuovo, nel momento stesso in cui è attivo nel dono supremo di sé, e si prepara ad affrontare la morte, Gesù inaugura per ogni uomo un cammino di nonviolenza e di pace. In Gesù, che riconcilia l’umanità con Dio accettando di compierne la volontà, viene prefigurata un’esisten­za di comunione con il Padre e con i fratelli: l’uomo è essere per la pace e la nonviolenza. È proprio in Gesù Cristo, che muore in croce con le braccia a­perte sul mondo e perdonando i propri persecutori (cf Lc 23,24), che il progetto divino di un’umanità pacifica e non violenta si mani­festa e si compie. Attraverso questo gesto sacerdotale, l’uma­nità è riconciliata con Dio, con l’Amore che redime, morendo e perdonando. È mediante il versamento del sangue di Gesù-uomo, nel quale la pienezza d’Amore si è compiaciuta di dimorare, che non solo l’umanità, ma tutte le cose in Lui ‒ come afferma san Paolo ‒, sono riconciliate (cf Col 1,20). Distruggendo in se stesso l’inimicizia, fonte di vio­lenza, Gesù abbatte il muro delle divisioni, unifica i popoli in un destino di pace, affratella in un solo corpo quelli che erano nemici (cf Ef 2,16; Rom 12,5).

Con il suo sacrificio, il Signore «ricrea» l’umanità, trasformandola da nemica, qual era divenuta in Adamo, in amica di Dio; mostra al mondo tutto l’impegno e la totale fedeltà del Padre al grande progetto di pace e di nonviolenza. Dio vuole il rinnovamento dell’umanità non mediante coercizione o azioni vendicatrici, ma con la forza di un Amore, che si dona fino all’estremo e perdona. In Gesù Cri­sto, che sale spoglio sulla croce, Egli presenta al mondo la nuova u­manità e contrasta la libertà deicida con le armi del perdono che risana e riconcilia. Nel Figlio, che si incarna e si immola, il Padre, ricco di misericordia, si impegna a far uscire ogni uomo dal tunnel dell’odio e della violenza, immettendo la sua stessa vita d’amore. La croce di Cristo è per il credente denuncia e vittoria sulla violenza, segno della solidarietà di Dio con l’uomo oppresso e sfregiato nella sua dignità. La croce non è propria­mente apologia della sofferenza, del sacrificio e della morte. Abbracciandola, Gesù la trasforma in atto d’accusa della vio­lenza del sistema religioso-politico del suo tempo, da cui è rifiutato e ingiustamente condannato. Per la risurrezione, che non è com­penso e riparazione dell’apparente insuccesso della morte di Gesù, ma l’af­fermazione sfolgorante della potenza della vita divina, la croce indica ad ogni uomo la via che porta al trionfo sulla violenza e sull’odio. Con la crocifissione, Gesù assume su di sé anche la con­dizione di ogni persona ingiustamente condannata. Poiché Dio Padre si curva sul Figlio per accogliere il dono della sua vita e per eternarla nel dinamismo potente della risurrezione, la croce testimonia la so­lidarietà di Dio nei confronti di chiunque sia calpestato nei suoi diritti fondamentali.

mons. Mario Toso

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