Una Domenica delle Palme con un “sisma” peggiore del terremoto

Oggi la Chiesa celebra la Domenica delle Palme. Le norme prevedono che i fedeli non partecipino alle celebrazioni eucaristiche, misure che servono per evitare che il contagio si diffonda. Verranno comunque benedetti i rami di ulivi che verranno lasciati in chiesa per quanti vorranno passare e prenderli. Porterò dei cesti con le palme benedette davanti all’ospedale dove ci sono i malati di Covid-19. Una delegazione della struttura sanitaria provvederà a distribuirli a tutti i pazienti.

E’ un modo per essere vicini anche nella sofferenza, sia ai pazienti che agli operatori sanitari che stanno facendo un grande servizio e lavoro, sacrificando anche le loro famiglie. Noi, che abbiamo ricevuto tanta solidarietà quando il terremoto che ha colpito il centro Italia, siamo chiamati come cristiani a condividere questi momenti. Un sorriso, un piccolo gesto, un dono in questo periodo, può rincuorare. Abbiamo distribuito oltre 200 buoni per i supermercati a chi era in difficoltà; le mascherine, anche agli operatori delle forze dell’ordine; con la collaborazione di volontari e dell’Ordine di Malta, si stanno consegnando alle famiglie bisognose pacchi con dei viveri, e stiamo provvedendo a trovare una sistemazione per quanti sono senza casa, in modo che abbiamo un letto sicuro.

Questa pandemia è un terremoto nel terremoto, questo virus è peggiore del sisma. Porterà, dopo la crisi sanitaria, un’emergenza economica: sofferenza per le attività produttive, per le famiglie; ci vorrà molto tempo per uscirne fuori. Dobbiamo essere uniti, lavorare insieme e cercare di portare sollievo dove ce n’è bisogno.

I sacerdoti sono sempre stati presenti con le persone fin dal momento terremoto, accompagnandole, sostenendole, ascoltandole. Hanno camminato insieme a loro e condiviso le sofferenze. Per cui anche in questo “secondo terremoto”, sono con la gente e tra la gente, forse anche in modo non fisico, ma nelle loro preghiere e messe portano sempre la comunità.

Queste settimane sono caratterizzate da una grande sofferenza, la chiusura in casa aumenta – soprattutto nella zona del terremoto dove si vive nelle casette – un senso di solitudine. Io passo le giornate al telefono per chiamare tante persone: a volte basta una semplice parola, un buongiorno, chiedere ‘come state’, per dare un segno di speranza pasquale e di resurrezione. So che ci vuole tempo, ma sono convinto che ce la faremo. Ci aspettano tempi duri, ma mi ripeto, se lavoriamo insieme otterremo qualcosa di buono. Bisogna riscoprire il senso di essere un unico popolo, un’unica famiglia. L’Appennino, questa nostra zona che va da Sassoferrato (provincia di Ancona, ndr), fino a Visso (provincia di Macerata, ndr) deve camminare insieme, altrimenti questo territorio muore. Siamo piegati, ma con la forza della fede e della resurrezione, ci rialzeremo.