Un Paese da accordare

Dietro la patina di slogan a effetto ed eclatanti proclami, si avverte oggi una debolezza culturale e valoriale che rischia di trascinare l’Italia in un baratro profondo. La violenza verbale e i toni esacerbati degli ultimi mesi di campagna elettorale devono lasciare spazio ad un senso di responsabilità tanto invocato quanto disatteso. Troppe sono state infatti le chiusure e le minacce nei confronti degli avversari; nessuno o quasi si è risparmiato dall’accusare il nemico trasformandolo nel capro espiatorio d’ogni problema. Mettersi davvero al servizio del bene comune, abbandonando la competizione forsennata per ottenere il consenso delle masse, significa invece essere capaci di anteporre le risposte concrete al prestigio della propria carica e al narcisismo personale.

Se con la nascita del “governo del cambiamentoLega-5stelle possiamo dire che una transizione è avvenuta ed è finita l’epoca dei rottamatori – di coloro cioè che volevano rinnovare la classe politica – adesso è il tempo di abbandonare l’arroganza e lo snobismo dei parvenu. La presunzione, cioè, di quanti si illudono di poter cambiare l’Italia e addirittura di poterne “scrivere la storia” in piena autonomia, senza ascoltare i corpi intermedi, le istituzioni e le persone che fanno pulsare il cuore vivo della nazione e con il loro radicamento costituiscono il tessuto connettivo della società intera.

La Chiesa cattolica, con i suoi duemila anni di storia della centralità della persona, di uomini e donne sullo stesso piano, ha qualcosa di irrinunciabile da dire e da insegnare anche oggi. Mancano invece di senso pratico, e persino di intelligenza politica, tutti coloro che pretendono di relegare il vasto e articolato mondo cattolico alle questioni strettamente religiose e spirituali. Il silenzio assordante a cui abbiamo assistito è una fonte di inquietudine non solo per i cattolici, ma per chiunque sia cosciente del ruolo che la Chiesa può giocare nella ricerca di soluzioni. D’altro canto, molti sembrano invece fingere di non capire quale disegno si celi dietro questo snobismo che pretende di condannare la Chiesa all’irrilevanza.

Adesso abbiamo un governo, figlio del matrimonio un po’ forzato di due partiti molto diversi, che dietro la comune carica anti-sistema nascondono differenze profonde. Da una parte c’è il Movimento 5stelle, perdonato e salvato in extremis dalla pazienza di Mattarella e dalla disponibilità a riprovarci dello stesso Salvini. Oggi i grillini ringraziano quello stesso Presidente della Repubblica che poche ore prima volevano mettere sotto stato d’accusa. Festeggiano e annunciano il sol dell’avvenire, con le loro inquietanti suggestioni robotico-cibernetiche e la democrazia diretta a suon di clic, confermandosi così una forza più relativista e post-moderna che “populista”. A questo Movimento si può, però, dare atto di aver contribuito a riportare al centro del dibattito pubblico alcune tematiche sociali troppo a lungo trascurate: la necessità di aiutare chi è rimasto indietro e la maggiore assistenza alle classi più disagiate.

Dall’altra parte c’è la Lega, che Matteo Salvini ha saputo abilmente trasformare in partito nazionale archiviando la sua collocazione regionalista ferma al Nord Italia. Una Lega molto “social” e capace anch’essa di sfruttare bene, proprio attraverso il carisma del suo leader, i nuovi mezzi di comunicazione, ma anche attenta a tradizioni, cultura e un po’ di fede. O almeno così essa è stata percepita da una parte del mondo conservatore, che ha visto nel Carroccio un soggetto capace di “rinnovare conservando”, cioè di farsi interprete di un cambiamento restando però all’ascolto della società e delle tradizioni del Paese.

Anche i gesti e i simboli esternati dal suo leader evidenziano un certo “orgoglio cristiano”, malgrado le profonde diffidenze di alcuni vertici della Cei che non possono accettare né i toni né i metodi che si vorrebbero adottare nei confronti dei migranti. Da parte sua, Salvini sta già parlando dei clandestini che non avrebbero diritto di asilo, facendo così un distinguo tra i disperati che scappano dalle guerre e chi giunge in Italia solo per delinquere generando insicurezza. Tuttavia su questo tema il leader della Lega è chiamato a mettersi davvero in dialogo con la Chiesa, mostrandosi capace di apprendere dalla grande esperienza che quest’ultima può offrirgli.

Nel suo primo viaggio da Ministro dell’Interno in Sicilia, Salvini ha affermato che non porterà avanti una linea dura ma “di buonsenso”: ed è proprio su questo terreno che egli sarà adesso chiamato a dar prova di ascolto, anche abbandonando una logica del muro contro muro di cui le vittime principali sarebbero i deboli e gli indifesi. La sicurezza e la solidarietà non sono poli opposti, bensì due facce della stessa medaglia: il frutto benedetto di questo dialogo deve essere proprio la riconciliazione tra il bisogno di sicurezza e identità degli Italiani e il dovere di dar prove incondizionate di umanità verso chi soffre.

La corresponsabilità di ognuno per la ricerca del bene comune ha però come passaggio preliminare la capacità di abbassare i toni della pericolosa contrapposizione, nonché la necessità di scegliere un linguaggio adeguato e appropriato ai difficili compiti che abbiamo davanti. L’Italia è sempre stata un esempio di civiltà e di valori proprio per la sua capacità di mettersi in ascolto dell’altro. L’esempio di Papa Francesco, un servitore capace di essere duro nella denuncia di ingiustizie quanto instancabilmente alla ricerca di un dialogo con chi è distante da lui, può rappresentare un faro in questa tempesta che va schiarendosi tra dubbi e incertezze. Passata la crisi istituzionale, è adesso il tempo delle scelte concrete e del coraggio degli uomini, chiamati a dar prova di responsabilità, di mediazione e di azione.