Trenta anni dal Trattato di Maastricht nell’era della “permacrisi”

L'intervista di Interris.it alla dott.ssa Alessia Mantovani, responsabile del progetto "Sport Power"

Il 30° anniversario del Trattato di Maastricht coincide con la “permacrisi”, la parola dell’anno 2022. Per il dizionario Collins Learning questo termine costituisce una crasi tra permanente e crisi per descrivere “un periodo esteso di instabilità e insicurezza”. In realtà, si tratta di un vocabolo non nuovo, coniato negli anni 70, ma entrato nel lessico comune solo di recente per definire la sensazione di vivere in un periodo di crisi senza tregua, di illimitata incertezza. La parola è stata usata dalla Presidente della Bce per indicare un movimento continuo da un’emergenza all’altra, “solo dieci anni fa abbiamo fronteggiato la peggiore crisi finanziaria dagli anni ’30, poi la peggiore pandemia dal 1919 e ora la più grave crisi geopolitica in Europa dalla fine della guerra fredda”.

L’epoca storica che stiamo vivendo è densa di incognite tra pandemia, guerra, crisi economica, inflazione e la minaccia di una grave recessione. L’Europa celebra un momento fondamentale della sua storia, che si compiva a Maastricht il 3 febbraio del 1992, avendo di fronte una serie di sfide impegnative in cui si sovrappongono problemi sanitari, geopolitici ed economici. La guerra in Ucraina ha reso ancor più impellente la necessità di una difesa comune europea.

Si ritrovano tracce evidenti nel Preambolo del Trattato sull’Unione europea, ove spicca la volontà di attuare “una politica estera e di sicurezza comune che preveda la definizione progressiva di una politica di difesa comune, per rafforzare così l’identità dell’Europa e la sua indipendenza al fine di promuovere la pace, la sicurezza e il progresso in Europa e nel mondo. La difesa comune ha rappresentato da sempre un’aspirazione dei Padri fondatori dell’Unione. Eppure, il progetto della difesa comune deve ancora oggi fare i conti con la gelosia dei Paesi membri verso la loro sovranità nazionale. Parlare di difesa comune significa parlare di politica estera comune e quindi di una effettiva unione politica, in linea con quanto prescritto nell’art. 21 TUE in cui si prevede che l’azione dell’Unione sulla scena internazionale si fonda sui principi che ne hanno informato la creazione, lo sviluppo e l’allargamento e che essa si prefigge di promuovere nel resto del mondo: democrazia, Stato di diritto, universalità e indivisibilità dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, rispetto della dignità umana, principi di uguaglianza e di solidarietà.

Un primo tentativo di raggiungere un’intesa nel settore militare avvenne con il trattato istitutivo della Ced, sottoscritto a Parigi il 27 maggio 1952. La Comunità europea di difesa prevedeva la costituzione di un esercito europeo.  Il 9 ottobre 1951, la delegazione italiana alla Conferenza per la Comunità europea di difesa redasse un Memorandum che indicava i risultati conseguiti dai negoziati per la creazione di un esercito europeo. Il Memorandum, trasmesso da Alcide De Gasperi alle delegazioni degli altri Paesi, affermava la necessità di creare un’organizzazione sovranazionale confederativa per risolvere le problematiche di carattere economico e finanziario legate alla difesa comune.

Ma pochi anni dopo il progetto venne abbandonato a causa della mancata ratifica del Trattato da parte del Parlamento francese. Trascorsi molto decenni, il settore della politica estera e della sicurezza comune (PESC) è stato valorizzato dal Trattato di Lisbona, sebbene tali ambiti di materie restino assorbiti dal metodo intergovernativo. Con riferimento alle decisioni che hanno implicazioni nel settore militare o della difesa il Trattato di Lisbona continua a scartare la possibilità che si possa deliberare con la maggioranza qualificata. Su queste materie il Consiglio delibera all’unanimità.

L’aggressione armata della Federazione russa in territorio ucraino ha rappresentato la ragione principale per l’approvazione della Bussola strategica per la sicurezza e la difesa. La Strategic Compass sembra segnare una significativa discontinuità con la precedente politica di difesa dell’Unione e dare impulso a una nuova stagione in cui “un’Unione europea più forte e capace nel settore della sicurezza e della difesa contribuirà positivamente alla sicurezza globale e transatlantica”.

La difesa dei confini diviene un compito prioritario e incentiva la costruzione di una politica di sicurezza comune tra gli Stati dell’Unione. Nella consapevolezza che la sicurezza di tutto il continente costituisce il presupposto per la sicurezza di ciascuno Stato membro.

La realizzazione di tale progetto di Difesa comune potrà essere possibile solo dotando di maggiore agilità gli strumenti decisionali della PSDC. L’Unione dovrebbe sostituire la regola dell’unanimità in tema di politica estera e di sicurezza comune, stabilita dall’art.31 TUE.

Di fronte alla crescita dell’instabilità, della competizione strategica e delle minacce alla sicurezza, occorre che l’UE si assuma maggiori responsabilità in aree strategiche come quella militare e della sicurezza. Passi decisivi verso la costruzione della sovranità europea, la riduzione delle dipendenze dall’esterno e la messa a punto di un nuovo modello di crescita e di investimento per il 2030.

Sicurezza e pace sono “beni comuni” che “vanno difesi anche quando può apparire impegnativo o difficile” come ha ricordato il Presidente Mattarella. “Non è un caso se tra i primi obiettivi cui si dedicarono i padri fondatori dell’Europa vi fosse la difesa comune. Alcuni passi sono stati compiuti ma troppo poco e troppo lentamente”. Tra arretramenti e passi avanti, la Difesa europea, resta una tappa fondamentale da realizzare.