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Sotto il segno di Montini

Se c’è una cosa che colpisce, nell’incontro tra il Papa e Mattarella, non è tanto e non è solo il riconoscimento dell’uno nei confronti dell’altro. Tra i due la sintonia in termini personali e culturali è chiara ed evidente, e non da ieri. Quando Mattarella venne in Vaticano in visita di stato, per dire, il discorso dell’uno avrebbe potuto essere pronunciato dall’altro, e nessuno si sarebbe mai accorto dello scambio di cartelle. Questa volta un elemento nuovo c’è stato, e su questo vale la pena di soffermarsi anche se, apparentemente, non è il più importante dei dettagli.

Alludiamo al richiamo ai Promessi Sposi ed al Manzoni. Quirinale e Vaticano si sono ritrovati, a pochi giorni l’uno dall’altro, a ricordare in termini assai simili il 150mo manzoniano e l’hanno fatto, entrambi, parlando all’Italia: paese stremato oggi come alla metà del Seicento ed oggi come allora devastato da una pandemia. In pieno declino, morale e culturale ancor prima di ogni altra cosa. Così Bergoglio si rivolge a Mattarella dopo aver ricordato (domenica, al Regina Caeli) il ruolo che la Provvidenza ha nelle vicende degli uomini, quello che Agnese sintetizza nel suo “la Provvidenza provvede”. Dice, il Pontefice, che la politica è sana e buona, ma per farla bisogna farsi servi dei servi, sarti che lavorano pensano al bene altrui prima che al proprio, e così facendo realizzano l’uno e l’altro, ché non esiste gioco a somma zero. Il contrario della visione mercantilistica e individualistica, attualmente in voga, della gestione della cosa pubblica.

Al tempo stesso Mattarella si affaccia a ringraziare per il Premio Paolo VI dopo aver ricordato che Manzoni rifletteva sulla persona umana, non sull’etnia, e che da quel cattolicesimo manzoniano discende tanta parte della nostra cultura costituzionale. Che poi è la stessa che traspare in molte pagine di Paolo VI: si pensi non solo al suo ragionar di pace alle Nazioni Unite o davanti a Johnson, ma alla sensibilità verso i temi della giustizia sociale e dei diritti della persona umana. Elementi distanti e alternativi tanto alla cultura della sinistra quanto a quella destra: si pensi alle infelici pagine scritte su Manzoni e i poveri da Antonio Gramsci e, appunto, a certe superficiali riflessioni contemporanee su ethnos e razza italica. Sotto il segno di Montini si va riscoprendo quindi molto della diversità del cattolicesimo rispetto al mondo contemporaneo. Non una alterità, sia chiaro, ma una diversità sì: a nessuno deve essere permesso di impossessarsi di una cultura che non è la sua. A nessuno è lecito lasciare che altri facciano come il cuculo con il loro nido. Il cattolicesimo italiano, sia esso liberale come democratico e popolare, ha radici ben più profonde del pensiero post ideologico di questi anni, per non dire del vuoto pensiero unico che pretende di riempire di risposte libertarie i grandi interrogativi dell’attualità.

Montini, lombardo come Manzoni e come Manzoni cultore del dubbio, ci indica molto della strada da percorrere. E se qualcuno il dubbio lo coltiva, questa volta, per dire che Manzoni e Montini in fondo è roba di un secolo o due fa, noi rispondiamo ricordando l’incontro tra Fra’ Cristoforo e Don Rodrigo, la famosa pagina del “Verrà un giorno”: con il signorotto prevaricatore pieno di ossequioso ed affettato garbo nei confronti del frate fino al momento in cui questi non gli chiede di lasciar stare Lucia. Allora si fa sprezzante, di fronte all’uomo di Chiesa venuto a raccomandare mitezza, e lo caccia insinuando che per quella ragazza egli abbia interessi non esattamente pastorali. Che poi è la stessa cosa che, ancora non troppo tempo fa, qualcuno ebbe l’impudenza di insinuare anche nei confronti di Don Minzoni. Qualcuno ci salvi dagli atei devoti e dai clericali a gettone.

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