Il Muro è crollato ma la libertà è di nuovo in pericolo. La lezione di Solidarnosc

Solidarnosc
Lech Walesa durante lo sciopero ai cantieri navali di Danzica (1980)

Il Muro di Berlino non c’è più eppure la lezione di Solidarnosc è più che mai attuale. Francesco come Giovanni Paolo costruisce ponti in un’Europa in cui la libertà è nuovamente in pericolo. La catastrofe nucleare sfiorata durante la guerra fredda torna di drammatica attualità con l’invasione russa dell’Ucraina. E’ utile, perciò, tenere a mente la vicenda del sindacato polacco che ha contribuito a demolire la cortina di ferro est-ovest. Il valore della memoria, dunque. Dopo la visita di Karol Wojtyla, in Polonia si respirava un’aria nuova in Polonia. Gli anni 80 erano iniziati nel segno di Giovanni Paolo II. Forse perché era finita la paura e la gente aveva rialzato la testa, ma al di là del Muro il dissenso si era fatto più spavaldo. E il mondo operaio aveva cominciato a criticare apertamente una ideologia e uno Stato-partito, dai quali non si sentiva più rappresentato. Insomma, si avvertiva una diffusa volontà di ripresa morale e sociale, che inevitabilmente cozzava con un “sistema” ormai prigioniero dei suoi metodi autoritari. La forza, l’intimidazione, gli arresti, le condanne.E si arrivò al 1° luglio del 1980. In seguito a un nuovo aumento dei prezzi, alcuni reparti delle officine Ursus presso Varsavia sospesero il lavoro. Da lì, gli scioperi si allargarono a macchia d’olio, attraversarono l’intero Paese. Ce ne fu uno anche nei cantieri Lenin di Danzica, per il siluramento “politico” di Anna Walentynowicz, una gruista, vent’anni di anzianità, e militante del movimento operaio. A organizzare la protesta fu Lech Wałęsa, un elettricista, che era uno dei membri più attivi del sindacato clandestino. E qui, sul Baltico, la contestazione non solo mise radici, e assunse un carattere permanente, ma si colorò di un aspetto inedito. Straordinariamente inedito Sui cancelli dei cantieri apparvero un quadro della Madonna Nera e un ritratto di Karol Wojtyla. Gli operai, in ginocchio sul selciato, si confessavano e prendevano la comunione. Quelle immagini fecero il giro del mondo, impressionarono tutti. “Forse è arrivato il momento!“, esclamò Giovanni Paolo II. E, naturalmente, quelle immagini vennero viste anche al Cremlino, spaventarono i gerarchi comunisti, timorosi che il “bubbone” polacco potesse espandersi, contagiare le altre regioni dell’impero. Così, quando si arrivò alla trattativa fra operai e governo, Mosca infuriata mandò a dire alle autorità polacche: “Firmate! Firmate! Ma fatela piantare con queste agitazioni!”.SolidarnoscEbbene, sarebbe avvenuto tutto questo, se in quel momento sulla cattedra di Pietro non ci fosse stato un Papa polacco? E dunque, non fu proprio questo grande “ombrello” protettivo, a bloccare quanti avrebbero voluto soffocare la rivoluzione che stava incendiando la Polonia? Venne siglato l’accordo a Stettino il 30 agosto, e il giorno dopo a Danzica, il “protocollo” che prevedeva l’accettazione di “sindacati indipendenti autonomi” e la garanzia del diritto di sciopero, la libertà sindacale ma anche la libertà religiosa. Nasceva Solidarność, il primo sindacato libero nell’Est europeo. E marcato da una profonda dimensione etica, perché si ispirava alla dignità dell’uomo, alla sua libertà, e a una concezione del lavoro che, nel segno di una nuova solidarietà, andava al di là delle vecchie contrapposizioni ideologiche e politiche. Motivi che poi affioreranno di nuovo nelle encicliche Laborem Exercens (sul superamento della “questione sociale”, fondata sulla nozione di classe) e Centesimus Annus (sull’”incontro” tra Chiesa e movimento operaio).Si capì subito, comunque, che il mondo comunista non avrebbe sopportato a lungo quella “mina vagante”. Troppo pericolosa, Solidarność! Troppo destabilizzante! La sua stessa esistenza era un attacco al cuore del marxismo, della sua ideologia. E infatti, già nell’autunno del 1980 cominciarono a circolare voci minacciose. I servizi segreti occidentali parlavano addirittura di una possibile invasione della Polonia, da parte delle truppe dell’Armata Rossa, qualora si fosse acuito lo scontro tra il governo di Varsavia e Solidarność, guidata da Wałęsa. Giovanni Paolo II sentì il dovere di intervenire, in difesa della nazione polacca ma anche, più in generale, in difesa della libertà dei popoli di decidere del proprio destino. Così, il 16 dicembre, compì un gesto incredibile quanto coraggioso. Scrisse a Brèžnev, presidente dell’Urss, manifestandogli “la preoccupazione dell’Europa e del mondo per la tensione creata dagli eventi interni che si sono verificati in Polonia negli ultimi mesi”.anniIl tono della lettera era molto formale e lo stile quello usato in diplomazia. Ma c’era una durezza di fondo che non poteva non colpire. A cominciare da quell’esplicito riferimento all’“aggressione” hitleriana del 1939, e che, implicitamente, voleva ricordare come la Polonia, nello stesso periodo, fosse stata invasa a Est dall’esercito sovietico. Secondo riferimento, quello alla tragedia della Polonia, e al sacrificio di tanti suoi figli, durante la Seconda guerra mondiale. E poi, il richiamo all’Atto finale di Helsinki, alla responsabilità di ogni nazione nei propri affari “interni”. E alla fine: “Confido che voglia fare tutto ciò che è in suo potere per dissipare l’attuale tensione“. Quella lettera non ebbe mai una risposta. A Mosca avevano deciso: Solidarność doveva sparire; e questo non si poteva certo anticiparlo al Papa polacco. Ma se non ci fu nessuna risposta scritta, qualcun altro si incaricò di “rispondere”, seppure in altro modo. Non per conto di Brèžnev, questo no, ma di ambienti che, passando attraverso una lunga serie di scatole cinesi, erano collegabili ai servizi segreti sovietici. Era il 13 maggio del 1981. Piazza san Pietro, cuore della cristianità. Quasi non si sentirono quei due colpi sparati contro Karol Wojtyla.