Radici e ponti. Il Papa ripercorre e indica la via per i popoli europei

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Foto di Ashwin Vaswani su Unsplash

“Radici e ponti” questi sono i concetti messi al centro da Papa Francesco alla catechesi dell’udienza generale del mercoledì, ripercorrendo le tappe principali della visita apostolica in Ungheria. Questi due pilastri del pontificato di Bergoglio emergono nel viaggio nella capitale magiara. Il Santo Padre ricorda infatti che in Ungheria ha visto “tanta gente semplice e laboriosa custodire con fierezza il legame con le proprie radici”, e tra queste radici, come hanno evidenziato le testimonianze durante gli incontri con la Chiesa locale e con i giovani, “ci sono anzitutto i santi”. Le radici di una Nazione trovano linfa quindi “santi che hanno dato la vita per il popolo, santi che hanno testimoniato il Vangelo dell’amore e che sono stati luci nei momenti di buio; tanti santi del passato che oggi esortano a superare il rischio del disfattismo e la paura del domani, ricordando che Cristo è il nostro futuro”.

In molte altre occasioni Francesco ha evidenziato la necessità di prendersi cura delle proprie radici, lo ha fatto nei discorsi ai popoli indigeni in Sudamerica così a quelli rivolti agli studenti delle Scholas Occurrentes. Il pontefice riconosce infatti le minacce che arrivano da una società nichilista che propone solo il godimento di un eterno presente, senza passato né speranza nel futuro. Non a caso il Papa ricorda nell’omelia le ideologie che hanno cercato di estirpare le radici cristiane dell’Ungheria senza riuscirci: “Le solide radici cristiane del popolo ungherese sono state però messe alla prova. Durante la persecuzione ateista del ‘900, infatti, i cristiani sono stati colpiti violentemente, con Vescovi, preti, religiosi e laici uccisi o privati della libertà. E mentre si tentava di tagliare l’albero della fede, le radici sono rimaste intatte: è restata una Chiesa nascosta, ma viva, forte, con la forza del Vangelo”. Francesco fa riferimento alla lunga “oppressione comunista” nell’Europa dell’Est che “era stata preceduta da quella nazista, con la tragica deportazione di tanta popolazione ebraica”.

Oggi la libertà è invece minacciata “con i guanti bianchi”, avverte ancora il Papa, “da un consumismo che anestetizza, per cui ci si accontenta di un po’ di benessere materiale e, dimentichi del passato, si “galleggia” in un presente fatto a misura d’individuo”. “Questa è la persecuzione pericolosa della mondanità, portata avanti dal consumismo – prosegue Francesco -. Ma quando l’unica cosa che conta è pensare a sé e fare quel che pare e piace, le radici soffocano”. Secondo il Papa questo è un problema che riguarda l’Europa intera, “dove il dedicarsi agli altri, il sentirsi comunità, sentire la bellezza di sognare insieme e di creare famiglie numerose sono in crisi”. Francesco esorta quindi a riflettere sull’importanza di custodire le radici, perché solo andando in profondità i rami cresceranno verso l’alto e produrranno frutti.

Dopo le radici il Papa si sofferma sull’immagine dei ponti evocando ancora la morfologia di Budapest che “attraversata dal Danubio, nata dall’unione di tre città e celebre per i ponti che la attraversano e ne uniscono le parti”. Francesco ha richiamato specie negli incontri con le autorità ungheresi “l’importanza di costruire ponti di pace tra popoli diversi”. È, in particolare, durante l’udienza è tornato ad indicare  “la vocazione dell’Europa, chiamata, quale “pontiere di pace”, a includere le differenze e ad accogliere chi bussa alle sue porte”. Bello, in questo senso, il ponte umanitario creato per tanti rifugiati dalla vicina Ucraina, che ho potuto incontrare, ammirando anche la grande rete di carità della Chiesa ungherese. “Ci sono inoltre ponti  – prosegue il Santo Padre – che la Chiesa  è chiamata a tendere verso l’uomo d’oggi, perché l’annuncio di Cristo non può consistere solo nella ripetizione del passato, ma ha sempre bisogno di essere aggiornato, così da aiutare le donne e gli uomini del nostro tempo a riscoprire Gesù”. Infine Francesco ricordando la preghiera con la comunità greco-cattolica ungherese parla della bellezza di creare ponti tra i credenti: “Domenica a Messa erano presenti cristiani di vari riti e Paesi, e di diverse confessioni, che in Ungheria lavorano bene insieme. Costruire ponti, ponti di armonia e ponti di unità”.

In questa cornice possiamo dire che tendere la mano all’altro non significa cancellare la propria identità ma rafforzarla nell’incontro, la presa di coscienza delle proprie radici diventa così un esercizio per mettersi in relazione e non perdersi nella società liquida e nell’indifferentismo dei nostri giorni che conduzione alla solitudine e all’egoismo. Questi concetti erano stari approfonditi dal Papa a Budapest nel discorso di venerdì all’ex monastero carmelitano, dove ha auspicato un Europa “che non sia ostaggio delle parti, diventando preda di populismi autoreferenziali”, ma che allo stesso tempo “nemmeno si trasformi in una realtà fluida, se non gassosa, in una sorta di sovranazionalismo astratto, dimentico della vita dei popoli”. Il Papa in Ungheria ha messo in guardia rispetto alla via nefasta delle “colonizzazioni ideologiche”, che eliminano le differenze, “come nel caso della cosiddetta cultura gender, o antepongono alla realtà della vita concetti riduttivi di libertà, ad esempio vantando come conquista un insensato “diritto all’aborto”, che è sempre una tragica sconfitta”. Francesco chiede pertanto di “costruire un’Europa centrata sulla persona e sui popoli, dove vi siano politiche effettive per la natalità e la famiglia dove nazioni diverse siano una famiglia in cui si custodiscono la crescita e la singolarità di ciascuno”.