Quel bisogno di abbracci

Erano in migliaia, tutti adolescenti, maschi e femmine. La maggior parte di loro aveva in mano un messaggio, chi con un cartello preparato prima, chi con un foglietto di carta scritto al volo. Recitava: “free hugs”, abbracci liberi, o gratis se vi piace di più. Un’iniziativa sociale nata a Sydney, in Australia, nel 2014 e in seguito diffusasi in molte altre città del mondo; che ha invaso Roma nell’alveo del Romics 2016 appena concluso.

Nulla di “sporco”, niente di pruriginoso. Solo la grande spontaneità di una generazione che tenta disperatamente di recuperare ciò che contraddistingue la parte più nobile del rapporto umano: l’abbraccio, sintomo di condivisione, scambio di emozioni, accoglienza.

Credo sia giusto interrogarsi sul perché migliaia di “nerd” abbiano sentito il bisogno non di cercare l’ultimo e più ambito Pokemon ma un semplice abbraccio. Una generazione che ha fatto dell’incorporeità la sua cifra esistenziale – tra smartphone, messaggi digitali e collegamenti whatsapp – ora cerca di fare marcia indietro. Magari inconsapevolmente, per gioco – com’è giusto che sia a quell’età – ma con una determinazione che lascia impressionati. Romics è durato giorni, dalla mattina alla sera. Sono decine di migliaia i ragazzi passati per la nuova Fiera di Roma, ed è stato un continuo abbracciarsi, sorridersi e salutarsi. Poi via, ognuno per la propria strada.

Gli adulti non devono fare l’errore di sorridere giudicando questa una semplice moda, un modo per riempire i pomeriggi. C’è qualcosa di profondo nella ricerca di un abbraccio: è ciò che facciamo quando stiamo male, quando ci sentiamo soli, quando siamo impauriti. E’ allora che l’abbraccio diventa terapeutico, taumaturgico. Se un’intera generazione va in questa direzione, qualcosa vorrà pur dire.

Sta a noi adulti intercettare questo bisogno, e forse riscoprirlo. Non solo verso i nostri figli, troppo spesso relegati ad un saluto veloce, ma anche tra adulti stessi, tra persone che si vogliono bene e che troppo spesso si dimenticano di dirselo.

Ancora una volta sono i nostri ragazzi a darci una lezione di vita. E forse – con un po’ di retorica – se ci abbracciassimo di più calerebbero il tasso di violenza interpersonale, e magari anche i conflitti mondiali.