La priorità negata di liberare le vittime dall’inferno della tratta

Non c’è povero più umiliato di chi si vede sottratta la propria dignità. Il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha gettato come una spada nel mondo la tragedia individuale e collettiva del traffico di esseri umani. Oggi ricordare le vittime della tratta e pregare per loro significa ribellarsi all’ingiustizia dell’indifferenza: nessuno può fingere di non sapere. Papa Francesco, nel colloquio di domenica alla televisione pubblica italiana, ha ribadito il diritto di essere perdonati, quindi coloro che infliggono l’inferno in terra alle più fragili delle creature si convertano e smettano di sfruttare e brutalizzare le nostre sorelle.

Sabato, come ogni mese, abbiamo recitato il santo rosario nelle strade della prostituzione coatta di Perugia, alimentando la fiaccola che da venti anni illumina e riscalda la speranza di liberare le “donne crocifisse” che le nuove forme di schiavitù vorrebbero sottomesse e degradate a “bancomat umani”.

Tocca a ciascuno di noi testimoniare un modello sociale di ritorno alla vita sotto forma di redenzione e possibilità di riabilitazione. Gli aguzzìni hanno la possibilità di rifarsi un’esistenza solo se riparano al male fatto, se intraprendono un sincero percorso di trasformazione che metta al centro il recupero di una dimensione etica finora calpestata.

Stessa dinamica di allontanamento dal male deve riguardare i cosiddetti clienti del mercimonio, correi di un crimine contro l’umanità, complici di un olocausto silenzioso che si consuma ogni notte negli angoli bui della nostra coscienza sociale.

Poi, ovviamente, il fulcro di questa ridefinizione socio-morale sono le vittime della tratta, coloro per le quali non esiste opportunità di rinascita senza una liberazione che reclama la nostra fattiva partecipazione. Se ciascuno di noi smette di voltare la testa dall’altra parte, le “schiave del terzo millennio” avranno la chance di uscire dai loro lager.

Questa ultima, fortissima parola il Pontefice non ha avuto paura di usarla deplorando la cultura dello scarto che alza muri e ghettizza i deboli. Allo stesso modo Francesco non ha esitato a definire “vizio schifoso” (nella prefazione al mio libro “Donne crocifisse”) l’attitudine malvagia di approfittarsi di chi non può difendersi. Farsi portavoce delle fragilità afone non è solo compito della religione, bensì priorità per le istituzioni civili che, come ha ricordato il Papa, tendono sempre a mettere in secondo piano tutti i soggetti indifesi e privi di potere economico, sociale e politico.

Non c’è rappresentanza per coloro che non scendono in piazza, non spostano flussi di voti, non determinano il reddito di una nazione. Però un giorno saremo tutti giudicati sul modo in cui stiamo trattando le vittime dei moderni schiavisti.