Perché la solennità di Cristo Re inverte lo stereotipo di autorità

Se nei nostri tempi molti aspetti della fede e della Chiesa vengono contestati, tanto più lo è la solennità di oggi (Cristo Re), accompagnata da controversie sin dall’inizio della sua seppur breve storia. Interessante invece che nella sua istituzione non sia mancata la presenza benedettina. Il Beato Cardinale Ildefonso Schuster, a quel tempo ancora abate di San Paolo, fu coinvolto nella preparazione dell’enciclica “Quas primas”, la quale nell’anno 1925 introdusse proprio la nuova festa. L’Abate Schuster nella sua introduzione a questa nuova celebrazione scrisse: “La Sede Apostolica ha ritenuto di poter popolarizzare più efficacemente la condanna del laicismo, istituendo una solenne festa del Regno Messianico di Cristo, quasi protesta, ammenda onorevole e riprovazione, contro le usurpazioni della statolatria, del materialismo, dell’irreligione e dell’ateismo dilagante”.

Qualche anno prima, i benedettini di Beuron, lavorando sull’edizione dello Schott-Meßbuch (non senza una contestazione alla preparazione della modifica del calendario liturgico), definirono l’Epifania come la antichissima festa reale di Cristo. Oggi i re – se esistono – hanno solo un significato simbolico e la “divinizzazione” dello stato sembra una sciocchezza. L’autorità è ormai diventata un problema – sia per le società, sia per i …monaci. È quasi sparita dalla sfera pubblica per nascondersi nelle pieghe della nostra vita privata e anche di quella spirituale.

L’uomo moderno non può, come hanno fatto gli Israeliti nella prima lettura, tranquillamente eleggere un re (capo). Le elezioni di un’autorità molto spesso diventano un gioco. L’autorità stessa funziona piuttosto come una facciata della rete di potere già situato prima altrove, indipendentemente dall’autorità ufficiale. Niente di nuovo! Anzi!

Il Vangelo ci mostra l’anatomia di una simile prospettiva: i capi, i soldati, il popolo stranamente uniti contro Colui che sembrava minacciare la loro comodità, posizione e conforto. Ora lo stanno deridendo. Ecco il modo migliore di eliminare qualcuno che viene da fuori con un messaggio che nega il vecchio ordine! Si crea una strana solidarietà di soddisfazione dalla condanna compiuta. La forza di questa solidarietà è così grande, che coinvolge anche uno dei condannati.

Gesù, il Re deriso, sembra rimanere da solo. Improvvisamente appare un protagonista che apre il cerchio vizioso di questo gioco: il secondo dei malfattori. Come mai è potuto accadere questo? Uno dei casi più spettacolari di azione della grazia! Un incontro personale, quasi impossibile, con la grazia stessa! Qualcuno, sicuramente molto disperato – però non meno coraggioso, osa di stare al fianco del Respinto. Così, timidamente ma irrevocabilmente, si apre un nuovo cerchio di solidarietà tra i condannati. Dopo qualche anno, San Paolo descriverà questo come la sorte dei santi nella luce, finalmente liberati dal potere delle tenebre e trasferiti nel regno del Figlio dell’amore del Padre.

Tante nostre storie e situazioni si riflettono in questa scena! La rete delle conoscenze, degli influssi, del prestigio (e così via) delinea i nostri incontri e rapporti. Ci sono solo due possibilità: o difendiamo la nostra posizione, oppure ci mettiamo accanto a Gesù. Questa seconda scelta purtroppo sembra reale solo quando prima siamo stati respinti – come Gesù. Si tratta sempre di una scelta principale: chi è capo? Io, con le mie ambizioni, complessi e paure mascherate nelle pieghe del mio potere ingannevole? Oppure Lui – immagine del Dio invisibile, capo del corpo, della Chiesa, principio?

La solennità di oggi salva l’idea di autorità invertendo il suo stereotipo. Regnare, governare, dirigere vuol dire riconoscere l’altro, aprirsi a lui, offrirgli uno spazio, farlo felice. Questo è contrario alla protezione della nostra personale posizione. L’Unico potente, Gesù, non aveva paura di essere escluso, condannato, addirittura ucciso. Come uomo, ha perso tutto. Però, voleva aprire una nuova dimensione di potere – dimensione totale ed eterna: quella dell’umiltà, sensibilità e tenerezza Eucaristica. Non ci rimane altro che seguirlo – ora, nel momento della celebrazione, partecipando alla comunione e poi, rafforzati dalla grazia eucaristica, in tutti momenti della nostra quotidianità.

Ad immagine del Suo corpo spezzato per noi, anche noi cerchiamo di spezzare i cerchi viziosi dell’ostilità, dell’invidia o dell’indifferenza. Lo facciamo con la dolcezza della melodia del Requiem di Mozart, che meravigliosamente e con la delicatezza dei germogli freschi e teneri intreccia il testo sviluppato dalla preghiera del “buon ladrone” mutuato dalla sequenza Dies irae, che la Chiesa canta in questa ultima settimana dell’anno liturgico. È una preghiera che corrisponde all’anamnesi della messa e chiede la liberazione dall’ oppressione. Per Cristo, con Cristo e in Cristo, questa liberazione può diventare anche la nostra proposta per gli altri:

Recordare, Jesu pie, quod sum causa tuae viae; ne me perdas illa die.

Ricordati, Gesù pieno d’amore, Per me ti sei fatto viaggiatore: Fa’ sì che non mi perda – neanche coloro che incontrerò nei prossimi giorni si perdano – in quelle ore – e forse ancora prima. Così sia!