Perché i due ragazzi di Terni sono figli di tutti noi

“Sono anche figli nostri”, così il Vescovo di Terni mons. Piemontese definisce i due giovani di 15 e 16 anni trovati morti nelle loro stanze, mentre dormivano, dopo una partita di calcetto festeggiata con mix di sostanze stupefacenti comprate per 15 euro. Le indagini chiariranno i dettagli di questa storia, a noi il dovere di rifletterci sopra: possono morire così due adolescenti? Ed ancora: perché due ragazzi sono convinti che il miglior modo di trascorrere una serata insieme è riempirsi di droga? Che cosa non riesce a passare del messaggio educativo che si cerca di dare? Ecco quest’ultima è la domanda più assillante, quella che non lascia via di scampo.

C’è chiaramente qualcosa che non funziona e c’è anche una responsabilità “oggettiva” degli adulti, di tutto il mondo educativo che ruota attorno ai giovani. Droga, alcol e sesso arrivano ai ragazzi prima di quanto si possa pensare, tra loro c’è poca percezione del disvalore di una vita disordinata e che ti annulla. Nessuna consapevolezza dei rischi. Ancora troppo presto per capire che non ne vale la pena, ancora senza esperienza per sapere che si vive meglio al di fuori del branco.

Eppure c’è quel maledetto desiderio di farsi notare, di trasgredire, di rompere la noia che porta a fare di tutto “perchè tanto è uguale”, perchè non esiste un motivo per fermarsi, per non farlo. Quel vuoto dentro che cresce e si alimenta di superficialità, di assenza di dialogo, di scarso impegno civico è più letale della cocaina. Il non aver paura di fare certe cose, perchè non si tiene abbastanza a se stessi o perchè se si viene scoperti in fondo non succede nulla, fa più male che tracannare vodka.

Il Vescovo di Terni stigmatizza “l’assurdità di queste giovani morti e la solitudine esistenziale di chi ha ancora bisogno di protezione, sostegno e accompagnamento educativo verso la vita. Tante sono le chimere e gli agguati sottovalutati, dagli esiti pericolosi e a volte ahimè tragici”. Quel che colpisce delle sue parole però è il passaggio sulla libertà: “tanta è la superficialità con cui, noi adulti, cattivi maestri, trattiamo materie che affidiamo a fragili mani in nome della libertà, il cui esito spesso inesorabilmente porta al baratro”. Attorno a questa parola – libertà – si costruiscono prigioni dorate, spazi di permissivismo e superficialità che annichiliscono i giovani dei loro ideali, della loro tenacia e voglia di volare. Non c’è la spinta verso l’alto, verso altro, ma una zavorra che li tiene a terra, sera dopo sera, bicchiere dopo bicchiere, pasticca dopo pasticca.

Non c’è chi insegna loro che la vera libertà consiste nella consapevolezza della scelta: nella vita si può sempre scegliere la persona che si vuole essere e che si vuole diventare, si può scegliere di non ubriacarsi e di non drogarsi anche se tutti lo fanno” (primo falso mito da sfatare). Posso decidere di non essere “tutti”, posso decidere di dare un senso alla mia vita più profondo di una serata da sballo. Di questo disorientamento e assenza di vera libertà dei ragazzi, la società tutta è responsabile e complice. Questi due ragazzini di Terni non solo sono “anche figli nostri”, ma la loro morte è il nostro fallimento.