La pace è impegno di tutti

Mediante il suo insegnamento, Gesù invita a rinunciare alla strategia della violenza per assumere quella dell’amore attivo e creativo. Propone la giustizia dell’amore ‒ una forma più alta della giustizia, che cerca di stabilire una corrispondenza fra delitto e castigo ‒, che libera il malvagio dalla spirale della violenza e dell’iniquità: «Avete inteso che fu detto: Occhio per occhio e dente per dente; ma io vi dico di non opporvi al malvagio; anzi se uno ti percuote la guancia destra, tu porgigli anche l’altra; e a chi ti vuole chiamare in giudizio per toglierti la tunica, tu lascia anche il mantello. E se uno ti costringerà a fare un miglio, tu fanne con lui due. Dà a chi ti comanda e a chi desidera da te un prestito non volgere le spalle» (Mt 5,38-42).

Con queste parole, più che un codice di comportamento da seguire alla lettera, Gesù propone l’istanza dell’amore, che si esprime in forma creativa anche nelle situazioni più difficili di violazione dei diritti personali, come nel caso di insulti ingiuriosi, di espropriazioni dei beni personali, di requisizioni per la corvée pubblica o militare, di prestiti esosi e di oppressione dell’insolvente. A livello internazionale e sovranazionale, l’instaurazione e il mantenimento della pace esige, sempre più, la partecipazione di tutti alla costruzione di una vera e propria società politica mondiale, caratterizzata da una corrispondente autorità, costituita mediante un processo democratico universale, dal basso. A livello internazionale e sovranazionale, quali espressioni di una comunità e di istituzioni sovranazionali che sempre più si rendono concretamente responsabili della realizzazione della pace mondiale, vanno segnalate, come modalità e vie non violente, le operazioni, compiute da vari eserciti attrezzati ad hoc, normalmente sotto l’egida dell’ONU, di peacekeeping, peace building, peace enforcing.

L’amore per la pace, per ogni uomo e popolo, si fa concreto quando, a fronte di fenomeni transnazionali, ossia richiedenti risposte non semplicemente nazionali, si rafforzano e si riformano urgentemente le attuali istituzioni in modo che in esse siano equamente rappresentati gli interessi della grande famiglia umana. Occorre che esse sappiano contrastare i nuovi totalitarismi, compresi quelli finanziari, che mettono a repentaglio il destino dei popoli, la loro libertà, escludendoli o emarginandoli dal mercato internazionale, da uno sviluppo integrale ed inclusivo. Ai popoli più deboli, non si tratta di dare il superfluo, ma di aiutarli ad entrare nel circolo dello sviluppo economico ed umano, di un’ecologia integrale. Quando popolazioni intere, sprovviste del necessario, vivono in uno stato di dipendenza tale da impedir loro qualsiasi iniziativa e responsabilità, e anche ogni possibilità di promozione culturale e di partecipazione alla vita sociale e politica, grande è la tentazione di respingere con la violenza simili ingiurie alla dignità umana.

La guerra in Ucraina ha suscitato sgomento e preoccupazione non solo per la tragedia che ha colpito quel popolo ma anche per la grave ed irrazionale destabilizzazione internazionale sul piano culturale, politico, economico ed ecologico, nonché della pace. Un tale evento, che ha evidenziato atroci crimini di guerra e gli estremi del genocidio, a fronte dell’inefficienza dell’ONU e di altre istituzioni internazionali, ha suscitato contrapposizioni di pensiero, ideologiche e religiose, che al momento paiono insanabili. La non improbabile escalation della guerra sul piano non solo europeo ma anche mondiale, reclama che le armi tacciano al più presto, perché prevalgano il dialogo fra le parti e il lavoro della diplomazia per una soluzione giusta. E’ necessario il superamento dei pacifismi declamatori, auspicando il potenziamento della via della nonviolenza attiva e creativa, che costruisce la pace predisponendo alacremente istituzioni di pace, supportate da una nuova società civile mondiale.

Se non si combatteranno le attuali povertà e diseguaglianze, rimuovendo le cause profonde di una crescente dominazione da parte di una ricchezza egoista e amata per se stessa, non è da escludere che, come prevedeva la “Populorum progressio”, i popoli poveri si ribellino nei confronti dei popoli dell’opulenza. L’ingiustizia che si aggrava, non solo aumenta gli squilibri tra i popoli, e grida verso il cielo, ma partorisce tensioni e conflitti. La politica non deve sottomettersi all’economia e questa non deve sottomettersi ai dettami e al paradigma efficientista della tecnocrazia. Oggi, pensando al bene comune mondiale e alla pace, abbiamo bisogno in modo ineludibile che la politica e l’economia, in dialogo, si pongano decisamente al servizio della vita, specialmente della vita umana.