I nuovi poveri e la seconda ondata della pandemia

La seconda ondata della pandemia, vista dalla prima linea della Chiesa povera con i poveri pone gravi difficoltà e sfide. La seconda ondata è peggiore della prima. Spero, almeno, non dal punto di vista del contagio e delle vittime! Peggiore perché inattesa dalla maggior parte delle persone, e sarà più difficile rialzarci da questa seconda caduta, che non dalla prima. Per almeno due ragioni. Perché ci chiede di essere attrezzati per i tempi lunghi, e non ci siamo abituati: dovremo stringere i denti fino alla primavera. Perché ci chiede di sostare di fronte al male, e di sopportare il suo peso. E questo è ancora più difficile, perché procediamo sempre per antitesi (poco cristiane!): dalla fase uno alle fase due, dal buio alla luce. E invece anche nel buio vi è una luce, e la luce non è mai senza ombre.

Condivido quanto scritto da Massimo Recalcati: “Una mente democratica, come direbbe Bollas, non funziona per antitesi, non opera scissioni. Essa sa bene che la pura contrapposizione degli opposti vorrebbe evitare la difficoltà che sempre accompagna ogni processo di integrazione”. Dal punto di vista della Chiesa, questo chiede, per così dire, “un doppio registro”: certo farsi prossima ai poveri e ai malati, ma anche annunciare a loro e a tutti la Resurrezione del Signore. Mi permetto di segnalare al riguardo la bellezza di alcuni passaggi (in particolare i numeri 199, 200, 276 e 278) della Evangelii gaudium di Papa Francesco. Nessuno si salva da solo. Questa pandemia è una apocalisse, nel senso etimologico della parola: svela quello che siamo, slatentizza quello che è sottotraccia nelle persone come nella società, e anche nella Chiesa.

In questo senso, temo che chi è egoista lo diventerà ancora di più, e penso e spero che chi è solidale continuerà ad esserlo. Certo, la paura del futuro, che in questi giorni sembra prevalere, tende a rendere egoisti. Credo però anche siamo chiamati a guardare in profondo, anche come Chiesa. Sapremo allora vedere quello che il mondo non sa vedere: sapremo “vedere l’invisibile”, e vedremo i tanti gesti di solidarietà e vicinanza di cui i piccoli e i poveri sono capaci. Sono tanti, anche in questo tempo, “i santi della porta accanto”, che si lasciano inquietare dal volto del fratello, e sono ancora capaci di affezionarsi. Sono indescrivibili i disagi che stanno affrontando le fasce più indigenti della società. Per un verso, i disagi di sempre: più poveri di quello che già erano, è difficile! Ciò che inevitabilmente è stato rimodulato sono i servizi offerti.

Esemplifico per la mia Diocesi di Savona: dalla mensa, che consente l’incontro, al doversi portar via il pasto; il necessario ripensamento del Centro diurno, eccetera. Direi che, in chi già vive al margine, è aumentata non tanto la povertà materiale, ma quella umana e relazionale: c’è una più grande solitudine, difficilissima da sconfiggere.

Se nei primi giorni della esplosione del virus alla parola “pandemia” si accostava solo l’aggettivo “sanitaria”, oggi i volti della pandemia sono molti: sociale, economico, psicologico. In particolare, mi sembrano davvero in crescita le forme del disagio psicologico. Una società potente genera una umanità fragile: è il paradosso che la pandemia sta svelando. Affrontiamo tutti la stessa tempesta ma non siamo tutti sulla stessa barca. L’emergenza Covid accresce le disuguaglianze sociali? Anche perché non tutti i lavoratori e non tutte le attività produttive sono state fermate allo stesso modo (e questo era, intendiamoci, inevitabile, perché il rischio sanitario è più alto in alcune situazioni).

Forse, occorrerà più attenzione negli aiuti economici: ad esempio – come mi scriveva un amico produttore di birra artigianale- sono state finanziate misure per i ristoratori o i gestori di locali, ma non per chi li rifornisce. Temo poi che l’emergenza aumenterà soprattutto le disuguaglianze culturali. Penso al mondo della scuola, alla didattica a distanza, all’accesso a internet: le politiche che da decenni si portano avanti nel Paese non mettono mai in cima all’agenda i giovani e la formazione. E proprio questa “dimenticanza” emerge drammaticamente in questo tempo difficile.

Monsignor Calogero Marino, vescovo di Savona-Noli