Non si può includere negando le radici del Paese che ospita

Il Natale è salvo, la Commissione Europea ha ritirato le “linee guida per una comunicazione inclusiva”. Il documento interno all’istituzioni europee che invitava a non usare la parola Natale e nomi cristiani come Maria e Giovanni – reso noto grazie ad uno scoop del quotidiano italiano Il Giornale – è stato sommerso di critiche da parte dell’opinione pubblica e di alcuni governi del Vecchio Continente.

Possiamo quindi celebrare la ricorrenza della nascita di Gesù senza timore di nuove incursioni ideologiche anticristiane, condividendo liberamente con tutti la gioia per il significato più profondo di una festività che parla di salvezza e amore? No perché purtroppo il decalogo del politicamente corretto della Commissione, che invitava persino ad evitare i termini “signori e signore”, è solo l’ultimo di una serie di segnali volti a cancellare qualsiasi traccia dell’eredità cristiana nella cultura occidentale, con il paradossale intento di favorire l’integrazione e l’inclusività.

Il documento aveva infatti lo scopo dichiarato – come ammesso dalla commissaria europea alla Parità Helena Dalli – di “illustrare la diversità della cultura europea e mostrare la natura inclusiva della Commissione verso tutti ceti sociali e le credenze dei cittadini”. Una dichiarazione che mostra tutta la debolezza culturale dei burocrati europei, che parlano di valorizzazione delle diversità ma poi nel concreto diluiscono tutte le principali componenti religiose e culturali del continente in un brodo fluido senza alcuna identità.

L’analisi più lucida su questa vicenda è stata offerta dal segretario di Stato Vaticano, il cardinale Parolin, il quale ha detto senza mezzi termini che “negare le radici significa distruggere la persona”. Il porporato ha poi fatto osservare che il cristianesimo ha dato l’apporto principale all’identità europea e che chi “va contro la realtà si mette in serio pericolo”. D’altra parte basta vedere a quali risultati ha portato la negazione della componente cristiana nei regimi basati sulle peggiori ideologie del secolo scorso.

Non conforta dunque sapere che nelle stanze di Bruxelles e Strasburgo, da dove vengono mossi i fili dell’amministrazione comunitaria, siedono personaggi lontani anni luce dal sentire di milioni di europei. Burocrati che pensano di includere migranti e cittadini di altre fedi, cancellando qualsiasi traccia della cultura ospitante, aprendo un dialogo basato sul nulla o peggio sul relativismo della situazione attuale. La cosa più sconcertante è che questa strampalata carta dell’inclusività non è frutto di richieste dal basso avanzate da minoranze etniche e religiose, che anzi apprezzano e comprendono la ricchezza di due millenni di eredità cristiana, ma della mente di una classe dirigente che spesso guida le istituzioni comunitarie senza alcuna investitura popolare.

Per conoscere quella realtà evocata dal cardinale Parolin non bisogna avere una cattedra in Storia dell’Occidente ma più semplicemente riconoscere il fatto che l’unica cosa che ha unito l’Europa da Lisbona a Mosca e da Atene ad Oslo è stata la Croce di Cristo, l’unico e solo minimo comune denominatore di tutte le nazioni di un continente che, non a caso, è stato la culla di tutti i diritti umani. Offuscare e celare queste radici non renderà nessuna cultura più ricca, non darà nessuna maggiore opportunità di integrazione, non favorirà in alcun modo il dialogo, anzi subordinerà qualsiasi confronto alle pulsioni alle pulsioni consumistiche, funzionali ed egoistiche, tipiche della fase storica che stiamo attraversando.

In tutta questa vicenda c’è però un elemento di speranza. La reazione pronta e indignata di vasti settori della società, compresa la Chiesa cattolica, ha indotto ad una rapida marcia indietro della Commissione, che ha richiesto “più lavoro” per rielaborare le linee guida. Una mesta ritirata che ci dice che il declino relativista della nostra Europa non è qualcosa di ineluttabile e scritto nel nostro destino e che le centrali del pensiero unico che sognano una società senza radici sono meno granitiche di quello che pensiamo. Il cuore del continente guarda ancora a quella grotta di Betlemme con la speranza di un bambino, contaminare con questo spirito i palazzi di Bruxelles è la sfida che chiama l’impegno di ogni cristiano.