Il “no” di Draghi che vale più di mille parole

Uscendo dal Senato, dopo una giornata intensa, ma non certo particolare, il presidente del Consiglio, Mario Draghi, si limita a rispondere con un secco “no” a chi gli chiede se fosse preoccupato per la tenuta del Governo. E in quel no, pronunciato con quel suo stile british, c’è molto, anche se non tutto, della sua giornata parlamentare. Draghi ha affrontato la prova di Palazzo Madama non come un esame da superare, ma come una tassa da pagare, finendo con il sottoporre lui, con il suo intervento, deputati e senatori ad una prova di maturità. Tocca a loro scegliere da che parte andare e, soprattutto, con chi stare.

Lo sfaldamento del Movimento 5 Stelle, la debolezza della Lega e la forza di Fratelli d’Italia, pur essendo l’unica vera forza di opposizione, contrapposti ai tentennamenti di Pd e Forza Italia, sono gli elementi caratterizzanti di questa fase, dove la prospettiva europea, assieme ad una politica economica da pilotare con particolare attenzione, sono fattori attorno ai quali è necessario ragionare. Parlare d’altro, ora, è come parlar di nulla. Dunque non servono teoremi astratti, ma solide tesi, suffragate dai numeri. Quel no, quindi, vale più di mille parole. “Ringrazio perché il sostegno è stato unito e l’unità è essenziale, specialmente in questi momenti nei quali si devono prendere decisioni complesse, importanti, con risvolti anche morali, per cui avere il sostegno del Senato è molto importante per me”, dice il presidente del Consiglio durante la replica, nell’ambito delle sue comunicazioni in vista del Consiglio Europeo del 23 e 24 giugno, prima che l’Aula di Palazzo Madama approvasse la risoluzione di maggioranza con 219 sì, 20 no e 22 astenuti.

L’Italia continuerà a lavorare con l’Unione europea e i nostri partner del G7 per sostenere l’Ucraina, ricercare la pace, superare questa crisi. Questo è il mandato che il governo ha ricevuto dal Parlamento, da voi. Questa è la guida per la nostra azione”, ha ribadito il premier, spiegando come “la strategia dell’Italia in accordo con l’Ue e con gli Alleati del G7 si muove su due fronti: sosteniamo l’Ucraina e imponiamo sanzioni alla Russia perché Mosca cessi le ostilità e accetti di sedersi davvero al tavolo dei negoziati. Durante la mia recente visita a Kiev insieme al Cancelliere tedesco Scholz, al Presidente francese Macron e al Presidente rumeno Iohannis”, ricorda Draghi, “ho visto da vicino le devastazioni della guerra e constatato la determinazione degli ucraini nel difendere il loro Paese. Siamo andati a Kiev per testimoniare di persona che i nostri Paesi e l’Unione sono determinati ad aiutare un popolo europeo nella sua lotta a difesa della sua democrazia e della sua libertà”.

Draghi parla anche dell’adesione dell’Ucraina all’Unione europea, ribadendo come a Kiev il premier abbia ribadito che “l’Italia vuole l’Ucraina nell’Ue e vuole che abbia lo status di candidato. Il Governo italiano è stato tra i primi a sostenere questa posizione con chiarezza e convinzione, in Europa e in Occidente. Continueremo a farlo in ogni consesso internazionale, a partire dal prossimo Consiglio europeo. Sono consapevole che non tutti gli Stati membri oggi condividono questa posizione. Ma la raccomandazione della Commissione è un segnale incoraggiante e confido che il Consiglio europeo possa raggiungere una posizione consensuale in merito”.

Ovviamente non manca il capitolo dedicato alla crisi energetica, punto attorno al quale il ragionamento di Draghi si fa più stringente. “La soluzione che proponiamo da diversi mesi è l’imposizione di un tetto al prezzo del gas russo che consentirebbe anche di ridurre i flussi finanziari verso Mosca. Il Consiglio europeo ha dato alla Commissione il mandato di verificare la possibilità di introdurre un controllo, un tetto al prezzo. Questa misura”, spiega Draghi. “è diventata ancora più urgente alla luce della riduzione delle forniture da parte di Mosca. Le forniture sono ridotte, il prezzo aumenta, l’incasso da parte di Mosca resta lo stesso, le difficoltà per l’Europa aumentano vertiginosamente”.

Il voto sulla risoluzione è stato il frutto di una mediazione difficile raggiunta nelle ore precedenti nella maggioranza, in particolare sul punto in cui la risoluzione impegna il governo a “continuare a garantire, secondo quanto precisato dal decreto-legge n. 14 del 2022, il necessario e ampio coinvolgimento delle Camere con le modalità ivi previste, in occasione dei più rilevanti summit internazionali riguardanti la guerra in Ucraina e le misure di sostegno alle istituzioni ucraine, ivi comprese le cessioni di forniture militari“. Ore molto difficili soprattutto nel Movimento 5 Stelle, alle prese con il dissenso interno del ministro degli Esteri Luigi Di Maio. Ma Draghi, con quel no, ha dato prova di guardare già oltre, per il bene del Paese.