Il modello necessario per custodire e proteggere la vita

La lettera Apostolica di papa Francesco “Patris corde” è una riflessione ricca e articolata, che ci aiuta a riscoprire la figura di san Giuseppe, a volte un po’ dimenticata, anche perché nei Vangeli assume un posto marginale nella narrazione rispetto ad esempio a Maria. Mi piace vedere in Giuseppe l’uomo della storia e del sogno. Infatti egli compare anzitutto all’inizio del Vangelo di Matteo a conclusione della genealogia di Gesù, come colui che raccoglie la promessa di Dio che da Abramo, passando per Davide, arriva fino a “Giuseppe, lo sposo di Maria, dalla quale è nato Gesù, chiamato Cristo”.

La genealogia nella Bibbia non è un susseguirsi di nomi senza senso, ma vuole mostrare che la storia non è frutto del caso né del destino, bensì dell’opera di Dio che attraverso l’incontro con uomini e donne diversi costruisce una storia che ha un senso, un punto di arrivo, un compimento. Nella dinastia davidica si inserisce Giuseppe, e quindi Gesù, secondo la promessa fatta dal Signore a Davide per mezzo del profeta Natan (2 Samuele 7. La storia di Dio con l’umanità passa tra le generazioni e noi siamo chiamati a cogliere la Parola che il Signore rivolge ad ognuno di noi per prendere parte a questa storia, cosicché, inerendoci all’interno di una fede che attraversa le generazioni, possiamo costruire il presente con una visione del futuro. La parola di Dio vive infatti nella storia e nel tempo attraverso donne e uomini che la ascoltano e ne fanno motivo di vita.

Per questo Giuseppe viene chiamato “giusto”, non tanto per una giustizia innata, ma perché ha ascoltato Dio. Il sogno nella Bibbia rappresenta uno dei modi attraverso cui il testo indica che il Signore si rivolge agli uomini, entra in relazione, in dialogo con loro. Per tre volte si dice che a Giuseppe “apparve in sogno un angelo del Signore” (1,20; 2,13.19). In tutte tre le occasioni si racconta che Giuseppe fece “come gli aveva ordinato l’angelo del Signore”. Ecco la giustizia di Giuseppe. Infatti non basta sentirsi giusti e buoni. Per il cristiano l’uomo e la donna giusti sono coloro che ascoltano Dio e non se stessi, che non fanno di testa loro, ma realizzano ciò che il Signore indica con la Sua Parola.

Per questo San Giuseppe fu “padre” e “custode”, come ama chiamarlo la Chiesa. Il mondo è pieno di orfani, di uomini e donne soli. Pensiamo ad esempio agli anziani, che sono rimasti isolati nelle RSA o a casa senza aver avuto per più di un anno la possibilità di vedere un familiare o un amico. Ma anche quanti giovani si sono isolati e faticano a ritrovarsi con gli altri, a ricostruire rapporti di amicizia. Davanti a Giuseppe il Signore chiede a ognuno la responsabilità di essere padri degli altri, di occuparsi della vita del prossimo, a partire dagli ultimi e dagli esclusi, dai piccoli e dagli anziani. In tutti costoro riconosciamo il bambino Gesù che Giuseppe ha protetto, come ha scritto papa Francesco: “Questo Bambino è colui che dirà: “Tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me” (Matteo 25,40). Così ogni bisognoso, ogni povero, ogni sofferente, ogni carcerato, ogni malato sono il Bambino che Giuseppe continua a custodire. Ecco perché Giuseppe è invocato come “protettore dei miseri, dei bisognosi, degli esuli, degli afflitti, dei poveri, dei moribondi” (Patris custos, n. 5).

La fede vive e cresce in una paternità, nel legame con qualcuno che ci aiuta e ci rende parte di un popolo di fratelli e sorelle liberandoci dalla prepotenza e dalla tristezza dell’io. Giuseppe si prese la responsabilità di essere padre, anche se in modo del tutto particolare, e quindi di custodire e proteggere la vita di Gesù dal pericolo e dalla minaccia di morte, perché vinse l’incertezza e la paura fidandosi di Dio e della sua parola. Solo chi si prende la responsabilità di fare il bene del prossimo può contribuire al vero progresso umano della storia e cambierà il mondo e sé stesso, e sarà una donna un uomo felice, perché la gioia viene dal dare più che dal ricevere. Così nella paternità potremo costruire un mondo in cui vivere la fraternità universale, come papa Francesco ci ha chiesto.