Migranti, il Mediterraneo diventa sempre più incandescente

Gli sbarchi di migranti sulle coste italiane sono tornati ad aumentare per la prima volta dopo il controverso accordo siglato dall’ex ministro dell’interno Minniti nel 2017. Dal 1° agosto 2019 al 31 luglio 2020, sono stati 21.618, con un incremento del 148,7% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente quando gli sbarchi furono 8.691. E’ quanto emerge dai dati diffusi dal Viminale.

Nel frattempo è stata indebolita la capacità di rispondere agli arrivi, smantellando gran parte degli hotspot e delle strutture di accoglienza. Tutto questo avviene mentre la sponda nordafricana del Mediterraneo soffre di un’instabilità resa ancora più acuta dalla crisi economica e sociale provocata dalla pandemia del Covid-19. Non è un caso infatti che al consueto flusso di arrivi di migranti dalla Libia si siano aggiunte le rotte dalla Tunisia e Algeria.

Il disordine provocato dal disastro libico si sta infatti espandendo verso gli altri Paesi del Maghreb che devono affrontare una crisi senza precedenti. Quelli tunisini e algerini sono migranti economici e che vengono usati dai rispettivi governi per mettere pressione all’Ue. Sulla pelle di giovani 20enni in cerca di un futuro migliore si gioca la partita dell’Algeria che, secondo alcuni europarlamentari citati dall’Unione Sarda, sta lasciando aperto il corridoio dell’immigrazione clandestina verso la Sardegna per rivendicare la definitiva approvazione della zona economica esclusiva algerina sino alle coste sarde.

In questo scenario l’Italia e l’Unione Europa si limitano a stringere accordi per tenere lontano i migranti dalle coste. Proprio ieri infatti il ministero dell’Interno ha stanziato 11 milioni di euro – risparmiati sul capitolo accoglienza migranti – che saranno girati alla Tunisia per rafforzare il controllo delle sue frontiere marittime. La decisione è stata annunciata nel corso della visita a Tunisi dei ministri dell’Interno e degli Esteri, Luciana Lamorgese e Luigi Di Maio, accompagnati dai commissari europei Ylva Johansson e Oliver Varhelji. La delegazione ha incontrato il presidente della Repubblica tunisina, Kais Saied, il premier incaricato Hichem Mechichi. I soldi verranno impiegati per la manutenzione delle motovedette, l’addestramento delle forze di sicurezza, l’istallazione di radar ed un sistema informativo che allerterà tempestivamente la gendarmeria quando le imbarcazioni di migranti sono in mare in modo da bloccarle in acque tunisine.

Questi sforzi saranno inutili senza una stabilizzazione sociale, politica ed economica della fragile democrazia Tunisina, che da settimane sta provando a formare un governo. L’Europa deve investire sullo sviluppo di tutta questa regione per fermare un’emorragia di giovani che crea solamente squilibri e drammi nei paesi di partenza e quelli di approdo. Soprattutto se, in tempi di coronavirus, le braccia aperte alla accoglienza dei Paesi del nord Europa sembrano venire meno. L’accordo di Malta per la ricollocazione automatica in alcuni Paesi dell’Ue siglato lo scorso settembre è, dati alla mano, un’iniziativa rimasta solo sulla carta, ovvero nessuna distribuzione e ricollocamento dei migranti viene segnalata in queste settimane di emergenza. La stessa Malta prosegue con il suo atteggiamento: pochi giorni da le forze navali dell’isola hanno aiutato una piccola imbarcazione con undici persone a bordo a raggiungere la Sicilia.

L’Italia resta dunque l’unico terminale senza sbocchi di questo flusso dal nord-africa mentre il Mediterraneo diventa sempre più incandescente. Secondo un’inchiesta del New York Times, negli ultimi mesi la Grecia avrebbe espulso segretamente centinaia di migranti abbandonandoli in mare al di là delle proprie acque territoriali. Ovviamente nessuna esigenza di sicurezza può giustificare questi respingimenti illegali. La testata americana ha raccontato la storia di Najma al-Khatib, vedova siriana detenuta in un campo profughi dell’isola di Rodi che del 26 luglio è stata scaricata insieme ad altri migranti su gommoni senza timone e senza motore e abbandonati al limite delle acque territoriali di Ankara, finché non sono stati soccorsi dalla guardia costiera turca. Nel caso dei siriani va considerato che si tratta di persone che godono dello status di rifugiati e per le quali tutta la comunità internazionale dovrebbe impegnarsi ad attivare corridoi umanitari tesi a sottrarli dai viaggi della disperazione.

L’atteggiamento debole, confuso e schizofrenico di un Europa che alterna chiusure e accoglienza rischia solo di accelerare l’esplosione di una bomba sociale, mentre il riequilibrio del Medio Oriente e del Nord Africa resterà un miraggio finché saranno preda di interessi contrapposti che mettono a repentaglio la stessa tenuta dell’Unione Europea. L’impegno umanitario non sarà mai sufficiente senza una strategia comune per lo sviluppo.