Lucciole per lanterne

Invece di cogliere i “segni dei tempi” (come insegna il Concilio), i complottisti anti-Bergoglio si abbeverano alle fonti avvelenate del gossip.  Parafrasando Chesterton, si comincia a combattere la Chiesa a difesa di una presunta tradizione e si finisce per boicottare anche la tradizione pur di combattere la Chiesa. Una dinamica già ricostruita da Aldo Maria Valli e Rodolfo Lorenzoni, a proposito della Fraternità sacerdotale San Pio X, nel libro La tradizione tradita. Francesco ha parlato di terza guerra mondiale a pezzi e, per usare la stessa immagine, c’è un’offensiva a pezzi contro il Vaticano II che vede il Papa come obiettivo diretto e il Concilio come vero bersaglio degli attacchi. I nemici di Francesco sono i nemici del Concilio. Le critiche che gli vengono mosse sono sostanzialmente le stesse rivolte a Giovanni XXIII che, come lui, ebbe il coraggio e la lungimiranza di volere una Chiesa profetica, in grado di leggere e prevedere le novità del mondo. Così, invece di vedere i traguardi epocali raggiunti da questo pontificato (primo incontro della storia con il patriarca ortodosso di Mosca, viaggio nella penisola arabica, distensione con la Cina) gli improvvisati paladini della tradizione si trastullano con “fuori programma” insignificanti come lo strattone ricevuto dal Pontefice l'ultimo giorno dell'anno, durante la visita al presepe in piazza San Pietro, al termine dei Vespri. Al momento del saluto ai fedeli, una donna lo ha tirato verso di sè provocandogli un forte dolore al braccio al quale il Papa ha reagito con un gesto di impazienza per liberarsi dalla stretta. Tanto rumore per nulla insomma, mentre il cicaleggio favoleggia di imminenti dimissioni papali e trasforma fronde lillipuziane in scismi planetari in gestazione. In realtà Francesco rimarca la continuità con la tradizione della Chiesa nell’attenzione ai poveri richiamandosi proprio al Vaticano II. Un mese prima di aprire il Concilio ecumenico, Giovanni XXIII affermò che la Chiesa si presenta quale è e vuole essere, come la Chiesa è di tutti, e particolarmente la Chiesa dei poveri. Negli anni successivi la scelta preferenziale per i poveri è entrata nei documenti del magistero. Qualcuno potrebbe pensare a una novità, mentre invece si tratta di un’attenzione che ha la sua origine nel Vangelo ed è documentata già nei primi secoli di cristianesimo. Dunque, se Francesco ripetesse alcuni brani delle omelie dei primi Padri della Chiesa, del II o del III secolo, su come si debbano trattare i poveri, ci sarebbe qualcuno ad accusarlo che la sua è un’omelia marxista. Per esempio, non è del tuo avere che tu fai dono al povero; tu non fai che rendergli ciò che gli appartiene. Poiché è quel che è dato in comune per l’uso di tutti, ciò che tu ti annetti. La terra è data a tutti, e non solamente ai ricchi. Sono parole di sant’Ambrogio, servite a papa Paolo VI per affermare, nella Populorum Progressio, che la proprietà privata non costituisce per alcuno un diritto incondizionato e assoluto, e che nessuno è autorizzato a riservare a suo uso esclusivo ciò che supera il suo bisogno, quando gli altri mancano del necessario. San Giovanni Crisostomo affermava: “Non condividere i propri beni con i poveri significa derubarli e privarli della vita. I beni che possediamo non sono nostri, ma loro”. Un'ultima annotazione. Non stupisce, in realtà, che il latinoamericano Bergoglio, già prete e vescovo di strada nelle baraccopoli di Buenos Aires, esprima in maniera spontanea e accesa il proprio disappunto qualora gli capiti di spazientirsi. Durante il viaggio del febbraio 2016 in Messico, era accaduto a Morelia con un ragazzo che trascinandolo verso di sé stava per farlo cadere (“Non essere egoista!“, disse infuriato) o nella conferenza stampa in aereo in cui mimò ai giornalisti il pugno che merita chi offende sua madre. Anche Francesco, a volte, si arrabbia. Le scuse, però, sono arrivate subito, “per il cattivo esempio”. Ieri all’Angelus ha fatto pubblica ammenda per lo scatto stizzito avuto con una fedele che lo aveva strattonato martedì in piazza. Si allontanava dalle transenne dopo aver salutato la folla e una donna lo ha afferrato con forza per il braccio “storcendoglielo, facendogli davvero male e costringendolo a tornare indietro“, spiegano in Vaticano. La mossa ha innervosito e spaventato il Pontefice, che ha colpito due volte la mano della pellegrina per liberarsi. Poi ha proseguito scuro in volto, scatenando una pioggia di commenti sui social. “Anche io perdo la pazienza“, ha detto con voce incrinata dall’emozione”. Il pontificato è paragonabile a un abito e ogni Papa, come sanno nei sacri palazzi, riesce ad adattarlo alla propria corporatura. Nella maggior parte dei casi sul Soglio di Pietro si sale restando caratterialmente l’uomo che si era prima della fumata bianca nella Cappella Sistina, conservando l’indole e gli sbalzi d’umore di prima, magari mitigati dall’effetto-bianca veste. I fuori programma sono sempre dietro l’angolo. Nel Getsemani, Pietro, primo Papa, tagliò l’orecchio al servo del sommo sacerdote nella concitazione dell’arresto di Gesù. Per secoli i Papi hanno condotto le truppe sul campo di battaglia e la docilità d’animo non sempre è stata compagna di strada dei vicari di Cristo. Senza dover risalire così indietro nella bimillenaria storia pontificia, gli esempi sono innumerevoli. Ogni volta che nello studio privato di Pio XI si presentava un sacerdote dalla vocazione appannata, la sua reazione era così schietta da suscitare imbarazzo: “Come si chiama la signora?”. Nella curia di Pio XI, in Segreteria di Stato il futuro Paolo VI contendeva all’altro diplomatico di rango Domenico Tardini la titolarità dei principali dossier al punto da rimpallarsi a vicenda il brusco invito «ad andare a dormire prima la sera», come annota nel diario colui che diventerà il principale collaboratore di Giovanni XXIII. Lo stesso Roncalli fu tutt’altro che tenero nel gestire le accuse rivolte a Padre Pio. Allo Ior il mite Giovanni Paolo I, da patriarca di Venezia, alzò la voce con il “banchiere di Dio” Paul Marcinkus per la spregiudicata amministrazione della cattolica Banca del Veneto. Alla preghiera giubilare per l’unità dei cristiani Giovanni Paolo II (attraverso il segretario don Stanislao Dziwisz) allontanò in modo sbrigativo il cardinale Fiorenzo Angelini che in mondovisione si era inopinatamente avvicinato per porgere il braccio al Papa zoppicante, mostrandone involontariamente la salute malferma.