Le questioni cruciali da risolvere per rendere il sistema giudiziario più umano

La Relazione sul monitoraggio statistico degli indicatori PNRR per il primo semestre dell’anno in corso fornisce dati incoraggianti per quanto riguarda la durata dei processi sia civili che penali. Con riferimento al processo penale, i parametri concordati con Bruxelles sulla parte giustizia del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza prevedono la riduzione del disposition time dei tre gradi di giudizio del 25% entro giugno 2026. Altra notizia positiva giunge dal settore carceri, l’Italia è uno dei Paesi europei con più basso numero dei detenuti rispetto alla popolazione.

Ma le buone notizie sono finite, perché siamo tra gli Stati con un alto tasso di sovraffollamento carcerario. Secondo le indicazioni della Corte Edu, nelle carceri italiane il diritto allo spazio vitale per ogni singolo detenuto spesso non viene rispettato. Molti istituti di pena hanno celle fatiscenti, sporche e prive di luce. Ambiente angusti e opprimenti poco adatti al finalismo rieducativo che per Costituzione la pena ha il compito di assolvere. Le pene, infatti, non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità. Probabilmente le cause del continuo susseguirsi di suicidi che si verificano dentro gli istituti penitenziari sono da ricercare nella situazione di estremo degrado in cui i detenuti sono costretti a vivere. In Italia ogni mese almeno quattro persone recluse decidono di togliersi la vita. I suicidi in carcere nel 2022 hanno fatto registrare un forte incremento rispetto agli anni precedenti.

Nell’ottica di riduzione progressiva del sovraffollamento carcerario, la recente riforma del sistema penale (d.lgs. 10 ottobre 2022) attribuisce un ruolo rilevante a pene che non includono la privazione della libertà personale. La riforma Cartabia nasce con l’intento di rafforzare l’esecuzione penale esterna e ridefinire il sistema sanzionatorio al fine di realizzare una drastica riduzione della presenza in carcere di soggetti condannati a pene detentive fino a quattro anni.

Le sanzioni sostitutive delle pene detentive brevi e le pene pecuniarie, introdotte con la nuova disciplina, rispondono all’esigenza di superare l’idea del carcere come unica risposta alla commissione dell’illecito. Insieme agli ampi spazi riservati alla giustizia riparativa, il nuovo sistema punta a rafforzare vere e proprie sanzioni che non devono essere eseguite in carcere. Le pene detentive di breve durata possono essere sostituite con la semilibertà, con la detenzione domiciliare o con il lavoro di pubblica utilità. Tali soluzioni normative costituiscono un punto di equilibrio tra l’estensione temporale della pena e le esigenze di vita del condannato.

Il condannato alla semilibertà può trascorrere una parte del giorno fuori dalle mura carcerarie in attività di lavoro, di studio, di formazione professionale o comunque in attività utili alla rieducazione. L’attività sportiva e il lavoro aiutano il reo ad acquisire i valori di solidarietà sociale. Contribuiscono ad evitare il rischio di desocializzazione e aumentano l’autostima e la gratificazione personale. Nella stessa direzione si muovono le proposte di legge, presentate nella scorsa legislatura, per la promozione e il sostegno delle attività teatrali in carcere, da realizzare con la collaborazione tra amministrazione penitenziaria, imprese sociali ed esperti del settore. Il teatro rappresenta un aspetto cruciale dal punto di vista trattamentale, con cui sconfiggere le abitudini dell’agire deviante. Studi internazionali hanno dimostrato l’impatto favorevole prodotto dalla partecipazione dei detenuti alle attività teatrali, poiché riduce l’aggressività, l’ansia e la depressione.

Per le pene detentive non superiori ad un anno viene prevista la sostituzione con la pena pecuniaria, il cui ammontare deve essere compatibile anche con la situazione economica di un condannato non abbiente. Si tratta di misure sostitutive non automatiche ma basate sul prudente apprezzamento del giudice che dovrà optare per la sanzione più idonea al reinserimento sociale del reo con il minor sacrificio della libertà personale. Misure che possono essere in ogni momento revocate se la condotta tenuta appaia incompatibile con la prosecuzione della pena sostitutiva.

Ma le innovazioni introdotte, pur apprezzabili, non bastano. Negli istituti penitenziari italiani vi è ancora una percentuale molto alta di persone recluse che non sono state condannate in via definitiva o addirittura in attesa dell’inizio del processo. In palese violazione al principio costituzionale di non colpevolezza fino a sentenza definitiva.

Nel 2021 i casi di ingiusta detenzione sono stati 565, persone ristrette che, alla fine di un lungo calvario giudiziario e mediatico, hanno ottenuto la piena assoluzione. Si tratta di trattamenti profondamente iniqui che, sovente, riguardano comportamenti privi di offensività per le persone e la loro incolumità.

La prima questione da risolvere resta quella di scongiurare la drammatica situazione di imputati per reati di minor disvalore sociale costretti a subire l’inutile umiliazione del carcere. Molti degli arrestati nel tragitto che li conduce verso il carcere vengono addirittura ammanettati e trattati da veri criminali anche quando i fatti che vengono loro contestati non sono né omicidi, né violenze, né stragi. Una idea di giustizia molto diversa da quella immaginata dalla Costituzione, dal sapore amaro di una vendetta sociale.

La custodia preventiva in carcere andrebbe prevista solo quale extrema ratio per i crimini gravi, quando necessaria per evitare il ripetersi di comportamenti pericolosi che attentano alla vita e all’integrità personale. Come per i reati di maltrattamento sulle donne, prima che i violenti colpiscano di nuovo. Questioni cruciali che vanno risolte per umanizzare e rendere efficiente il sistema di giustizia in Italia.