L’amico immaginario

Ci sono due approcci opposti: sia riguardo ai profughi da soccorrere, alla vita da difendere dal concepimento al suo termine naturale, alla famiglia da sostenere (con politiche finalmente adeguate), alla salvaguardia del creato, alle schiave del sesso da liberare, al futuro occupazionale dei giovani, sia in relazione alle incomprensioni di vicinato tra Stato e Chiesa. Il primo approccio punta pragmaticamente a dialogare per raggiungere risultati concreti. Il secondo approccio, al contrario, usa ideologicamente e pregiudizialmente una certa idea di teologia per stabilire con chi confrontarsi e chi escludere dal nostro orizzonte. E’ quest’ultimo l’atteggiamento dei “teologanti” che a colpi di interpretazioni personali delle Scritture cacciano dal sacro recinto degli interlocutori, coloro che non sono ritenuti degni di rispetto. Dimenticano che Pio XI insegnava, nei rapporti Stato-Chiesa, ad interagire non con personalità astratte ma con i governanti che concretamente la provvidenza poneva innanzi alle autorità ecclesiastiche. Come dire, se i bambini inventano l’amico immaginario il mondo cattolico deve guardarsi dalla tentazione di crearsi interlocutori fantomatici, quasi che fossimo ancora nell’età dell’unità politica dei credenti.

Fermo restando il “depositum fidei”, cioè le certezze indiscutibili del cristianesimo dalle quali deriva la libertà di figli di Dio e non la schiavitù idolatrica di quanti vorrebbero che fosse l’uomo per il sabato e non viceversa, non si capisce un dato. Perché si può, anzi, si deve dialogare con l’universo intero e poi è così scandaloso cooperare realmente tra cattolici? Tale patologia “esclusivista”, corrode dall’interno anche la galassia ecclesiale, pericolosamente sospesa tra due estremizzazioni. Da un lato, quelli che in nome di una distorta tradizione fingono di dimenticare che mai, come negli ultimi due secoli, la Chiesa ha avuto Papi esemplari. E ciò, dopo che per lunghe epoche una certa bramosia di denaro e potere aveva investito le alte Gerarchie, prefigurando una contro-testimonianza evangelica. Dall’altro lato, poi, ci sono gli intellettuali da salotto, che utilizzano i loro studi teologici e filosofici per risultare graditi alle mode culturali del momento. Sono due facce della stessa medaglia contraffatta. La dottrina sociale della Chiesa impegna ad affrontare le questioni non ad edulcorarle. Tanto meno per farne saggi ovunque reclamizzati e dal sapore new age promossi in ambigui talk show .

Don Oreste Benzi non seguiva le tendenze, anzi era talmente fuori dalle mode da risultare sempre in anticipo. Un esempio tra i tanti: diceva che prostituirsi nasce sempre da uno stato di costrizione e ora, quarant’anni dopo, la Consulta ha messo nero su bianco che il mercimonio di carne umana non è mai un atto libero. Ecco allora la necessità di un vero tavolo che concentri sulle emergenze le energie più efficaci del campo civile e di quello cattolico. I problemi non ci avvisano, sta a noi prevenirli e trovare risposte risolutive . Stato e Chiesa non si cercano reciprocamente ma si devono ritrovare a favore del bene comune. E’ paradossale, che mentre si condannano giustamente i muri geopolitici nel mondo, poi ci si abbassi ad alzare barriere dentro la “casa comune” cattolica, cercando così di ridurla ad un giardino di “amici”, senza rendersi conto che intanto si allargano dannosamente le distanze dagli “avversari”. Il Vangelo dice esattamente il contrario. Gesù non aspetta in sontuose vesti e in palazzi inaccessibili che si rechino da Lui i potenti, non fa l’esame di catechismo a coloro che lo cercano, anzi va incontro ai lontani, si sforza di trovare in loro ciò che unisce e non ciò che divide. Insomma l’esatto contrario di quanto pretendono i nemici di Papa Francesco.

Mai come oggi è tristemente attuale la figura del “fratello maggiore” della parabola evangelica del Figliol prodigo. A lui il padre non toglie nulla, eppure è geloso perché il recinto del sacro risulta eternamente aperto a chiunque si ravveda e cerchi un confronto. A patto però che il cambiamento di rotta sia autentico. Promettere nel nome di Dio, se poi non si mantiene, è un boomerang che ricade su chi si è servito della fede invece di servirla. E a quel punto stracciarsi le vesti sarà inutile.