La solidarietà “razzista”

Per anni l’Italia ha urlato al mondo intero, e in particolare ai partner dell’Unione, che quello dei migranti era un problema europeo, impossibile da affrontare se tutti gli Stati membri non si fossero messi in gioco. Un grido d’aiuto completamente ignorato, dato che il flusso proveniva da sud e colpiva solo le coste mediterranee. Italia, Grecia, Spagna sono state lasciate sole a coordinare il flusso migratorio. Poi però è accaduto ciò che, pur se ampiamente prevedibile – e questo è un paradosso – nessuno si aspettava. Le vie della disperazione non prevedevano più solo l’arrivo sui barconi della morte, ma anche pullman, camion, auto, biciclette, treni. Persino a piedi. Da nord, ovest, est, a un certo punto è stato chiaro che non ci sarebbe stato modo di respingere: bisognava accogliere.

Ecco che le nazioni “ostili”, improvvisamente hanno aperto le frontiere, Germania in testa. Ma non l’hanno fatto indiscriminatamente, accogliendo a braccia aperte chiunque si presentasse, iracheno come siriano, libico come egiziano o nigeriano. No. Frau Merkel ha scelto con attenzione chi aiutare, con un occhio più al Pil (Prodotto interno lordo) tedesco che al bisogno dei fuggitivi. E così, come in un gigantesco reality, ha deciso chi poteva entrare nella suite (la Germania) e chi invece doveva trovare accoglienza nel tugurio (l’Europa del sud). Sono stati “nominati” i siriani.

Un motivo c’è, ed è lontano anni luce dalla gratuità del soccorso. Il popolo siriano, infatti, è mediamente più colto degli altri Paesi arabi, veste, mangia e pensa all’occidentale, ha un’educazione più vicina ai nostri standard, è laborioso. Insomma: mano d’opera ideale per essere integrata da subito nel processo produttivo tedesco (che necessita di svariate migliaia di braccia) e utile a muovere l’economia interna con acquisti di prodotti teutonici. Un siriano – tanto per fare dei banali esempi – non mangia per forza il kebab, non cerca la tunica. Acquista ciò che trova nell’area dove vive, esattamente come farebbe un tedesco.

Ecco perché anche nell’accoglienza, a ben vedere, troviamo i soliti immancabili devastanti difetti dell’umanità: la ricerca del profitto mista alla selezione di razza; tant’è che, appena dopo le “aperture”, sono immediatamente arrivate le “chiusure”, sempre più nette, sia dei confini che di disponibilità. Meglio di niente, si dirà… Certo, ma è preoccupante che i grandi della Terra non abbiano ancora compreso che solo ripensando il mondo come “comunità”, ci potrà essere una possibilità reale di migliorare la convivenza tra popoli. Senza questo afflato rimarremo invischiati in un conto alla rovescia dove, prima o poi, lo squilibrio del mondo si ritorcerà contro il mondo stesso.  Questa generazione di leader non l’ha ancora capito, speriamo nelle prossime.