La guerra è ovunque. Ma ci fa comodo non sapere

Arrivano immagini di morte e orrore. Non le case distrutte, non le macerie, ma i volti dei bambini sofferenti, gli uomini inginocchiati e uccisi, le donne violentate, l’infanzia rubata sotto il peso delle bombe e della violenza. E siamo tentati, quasi per una naturale autodifesa, a circoscrivere quei territori in porzioni isolate del mondo, tentando di porre dei confini alla barbarie umana per evitare di esserne travolti come uno tzunami. Pensiamo alla Palestina, e controlliamo il mappamondo per capire dove sia di preciso, ma più ancora per calcolare quanto possiamo essere distanti dal pericolo. Stessa storia con Kiev. La nostra percezione della guerra finisce più o meno lì, dove i giornali la fanno finire. E l’orrore delle decapitazioni, il sangue che macchia la terra sembrano l’eccezione in un mondo – il nostro – civilizzato.

Ma non è così. Le parole di Papa Francesco, che ha definito la situazione attuale una “guerra mondiale”, non sono state usate per enfatizzare una realtà meno cruenta al fine di sensibilizzare l’opinione pubblica. Al contrario sono l’esatta definizione di una cronaca di guerra che non risparmia purtroppo nessun continente. La generazione di uomini e donne che ha vissuto il conflitto del ’45 sa bene che non esiste una dolce morte in guerra, che la crudeltà è dietro l’angolo, che le opposte fazioni quasi inevitabilmente scivolano nell’orrore. Un ricordo ancora vivo, con cicatrici ben visibili nella carne e nell’anima, eppure già dimenticate. E allora non c’è differenza tra il soldato che imbraccia il mitra e il miliziano con le bombe, tra il fondamentalista con la scimitarra e il terrorista col volto coperto.

La mappa di sangue del mondo moderno non risparmia nessuno: Africa, Asia, Europa, Medioriente. In Egitto bisogna fare i conti con la rivolta popolare contro il Governo, in Mali si affrontano militari islamici e Tuareg, anche in Nigeria l’avanzata islamica fa le sue vittime, così come in Somalia; e ancora in Afghanistan, in Pakistan, nelle Filippine. Scontri con gli estremisti islamici sono anche in Cecenia, nel Daghestan. Poi c’è il capitolo delle guerre civili, nella Repubblica Centroafricana come in Congo, come nel sud del Sudan .

Esistono altre guerre, combattute con la stessa crudeltà anche se meno convenzionali (se ancora questo termine può avere un senso). In Colombia e in Messico è scontro aperto con i ribelli e con i gruppi del narcotraffico. Battaglie che lasciano sul campo decine di vittime anonime e insignificanti per il resto del mondo, eppure più vicine di quanto non si creda. La guerra per il controllo del traffico di droga, infatti, tocca da vicino tutti i giovani, anche – o forse soprattutto – quelli dei Paesi con situazioni di normalità.

Poi c’è l’Ucraina, con la Secessione dell’autoproclamata Repubblica Popolare di Donetsk e dell’autoproclamata Repubblica Popolare di Lugansk. Israele e l’infinita battaglia nella Striscia di Gaza, il conflitto in Siria. Infine l’Iraq con le scorribande sanguinarie dell’Isis: 2.500 donne Yiazidi vendute come schiave nella piazza del mercato di Mosul a 150 dollari, altre 300 donne Yiazidi vendute nei mercati della Siria. Non sono teorie, ma la denuncia fatta via social di Vian Dakhil, parlamentare irachena di etnia Yiazidi che ha commosso il mondo con il suo accorato appello al parlamento iracheno. Centinaia di bambine Yiazidi sotto i 12 anni sono tenute prigioniere dall’Isis e che sono date in spose ai miliziani o vendute come schiave. Ed è solo un aspetto della politica del terrore che è calata come una cappa su quell’area. Troppo per non sentirsi devastati nell’anima.

E allora è meglio pensare che tutto accada in un pezzetto di mondo dove vorremmo che finissero tutte le guerre. Purtroppo non è così, e quel “pezzetto” è grande quasi come tutta la Terra; è dietro l’angolo di casa nostra, è a un’ora di volo. Per fermare tutto questo ci vorrebbe una classe dirigente totalmente diversa, più votata al dialogo, alla tolleranza; ma è inutile sperare in questa che attualmente governa il mondo: non è redimibile. E’ soltanto sostituibile.