La guerra che uccide i nostri nonni

“Credo che tutto quello che sono oggi per la stragrande maggioranza lo devo a te. Sei l’uomo che mi ha insegnato tutto”. Scrive così Fabio Rovazzi sui social per salutare suo nonno, morto a causa del coronavirus. “Alla fine – aggiunge – questo maledetto virus ti è venuto a bussare alla porta. E fidati quando ti dico che non te lo meritavi”.

Non se lo meritava nessuna delle vittime di questa emergenza che abbiamo imparato a chiamare guerra, una guerra con un nemico invisibile, che ci distanzia e unisce al tempo stesso e che ha fatto dei nostri nonni l’obiettivo principale. Loro che di guerra ne avevano già vissuta una, la più atroce, fatta di bombe e di lager. Tutti noi siamo cresciuti con quei racconti, con quel dolore che filtrava dagli occhi che ripercorrevano la pagina più buia del Novecento, mentre ci raccontavano come giocavano da bambini, aiutavano in casa o andavano a scuola. La fame patita, la povertà, la morte. Così presente da essere data per scontata. Ricordi ripiombati improvvisamente nei giorni di una vecchiaia sperata e meritata della generazione che ha ricostruito l’Italia ed edificato l’Europa. Ha fatto studiare i propri figli, i nostri genitori. Papà e mamme che si sono realizzati nel lavoro grazie anche alla possibilità di affidare i bimbi ai nonni, appunto. Proprio questo tempo trascorso insieme ha creato un legame speciale tra le due generazioni che per molto tempo sono cresciuti e invecchiati insieme: tenendosi compagnia, imparando l’uno dall’altro tutto quello che nei libri non è scritto. Papa Francesco spesso parla della relazione tra nonno e nipote e insiste affinché sia coltivato il rapporto tra loro: “I nonni sono la saggezza, la memoria di un popolo e devono trasmettere questa memoria ai nipotini. I giovani, i bambini devono parlare con i nonni per portare avanti la storia”.

Per questo, nei giorni di lutto e tristezza che l’Italia sta vivendo, sono molte le manifestazioni d’amore che i giovani fanno verso i più anziani: innanzitutto restando in casa perché, purtroppo, sono proprio i ragazzi a poter essere veicolo inconsapevole del Covid-19; oppure attraverso il volontariato, rendendosi disponibili alla consegna della spesa o al rifornimento delle medicine, in uno spirito di servizio e soprattutto di restituzione.

La pandemia ha posto tutti davanti a degli interrogativi dai quali non si può sfuggire e ha mostrato all’uomo il proprio limite. Quell’uomo che dopo millenni di storia, per un attimo, si era forse illuso di poter dominare la vita e la morte e che oggi si ritrova a chiedere aiuto, a pregare, a sperare.