La grande depressione

Il dato risulta essere statistico e psicologico allo stesso tempo. In Italia – afferma l’Istat – ci sono oltre 3,5 milioni di persone che, pur essendo disponibili a lavorare, non cercano impiego; 1,6 milioni di questi non lo fa perché si dice scoraggiato. Se infatti nel primo trimestre sono aumentati gli occupati (133.000 in più rispetto al primo trimestre 2014) sono cresciute anche le forze di lavoro “potenziali”, ossia le persone formalmente inattive ma pronte a uscire dall’inattività; in particolare tra queste coloro che si dichiarano disponibili a lavorare – ma che in realtà non cercano alcun impiego – sono aumentate di 300.000 unità. Il picco è nel Mezzogiorno con oltre 2 milioni di “sfiduciati”.

La depressione economica, dunque, sta portando come conseguenza la sua omologa psichiatrica. Nella fascia d’età che va dai 15 ai 34 anni troviamo 1.347.000 tra coloro che si dicono disponibili a un impiego ma non hanno fatto azioni di ricerca attiva nelle settimane precedenti la rilevazione. Una disponibilità solo virtuale, dunque, senza alcuna spinta propulsiva.

Una sfiducia che parte però da diverse considerazioni. 1) l’atavica stortura della raccomandazione, ancora ben lungi dall’essere estirpata sul suolo italico, che rende inutile la ricerca di lavoro se non si è appartenenti a una cordata politica o non si ha la fortuna di conoscere direttamente qualche “santo in Paradiso”; 2) l’immobilismo del mercato del lavoro, che rende impossibile l’uscita e il rapido rientro dal sistema produttivo; 3) le condizioni di offerte al ribasso, senza tutele sindacali, col risultato di dover essere costretti a lavorare molto per percepire poco.

La cosa grave è che questa alterazione cronica dell’umore contraddistinta da tristezza, riduzione dell’interesse e delle attività e senso di solitudine, si sta diffondendo anche a livello scolastico. Nel momento in cui i nostri giovani si avvicinano all’università la scelta per molti non è più cosa studiare ma dove, con una fuga sempre più marcata – per chi se lo può permettere- verso l’estero. Siamo dunque in una fase dove le perplessità, se non addirittura il pessimismo, sulla reale possibilità di trovare sbocchi lavorativi nel Paese è molto evidente.

Da questa situazione se ne esce solo con uno choc sul mercato del lavoro, favorendo le aziende che creano occupazione, controllando che questo processo non finisca con le solite truffe, e collegando il mondo della scuola a quello del lavoro in maniera fattiva. Ma queste sono cose che si dicono da anni, e che la politica per ora ha recepito solo in parte. Jobs act e Buona scuola sono due aspirine; il malato, per essere recuperato, ha bisogno di interventi molto più profondi e condivisi.