ITALIA MORTA

Ci sono momenti nella missione di un sacerdote che valgono più di mille libri di teologia. Mi ha telefonato il papà di un ragazzo gravemente disabile che, dopo aver visto in televisione un servizio sulla sconcertante sentenza della Corte, che sdogana il suicidio assistito e l’eutanasia attiva, ha sospirato in lacrime: “E ora cosa mi faranno? Uccideranno anche me?”. Non si costruisce una società eliminando i suoi componenti più fragili. Un passo indietro: negli ultimi quattro anni si sono rivolti a varie associazioni “per il diritto di scegliere” circa novecento italiani. Adesso, se non verrà davvero approvata una legge a difesa dei “soggetti vulnerabili”, il suicidio assistito e l’eutanasia attiva verranno spacciati per diritti inalienabili della persona.

Ma come è precipitata l’Italia in questo abisso etico e sanitario? Ricordiamo solo tre date. 2006: Piergiorgio Welby, affetto da distrofia muscolare, scrive al Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano una lettera in cui chiede l’eutanasia. 2008: i giudici autorizzano il padre di Eluana Englaro, in stato vegetativo dal 1992, a interrompere i trattamenti di idratazione e alimentazione forzata. 2016: l’ex presidente della Provincia di Cagliari, Walter Piludu, malato di Sla, ottiene l’autorizzazione del tribunale per sospendere i trattamenti e staccare il respiratore. In questi pochi anni, quindi, l’eutanasia mascherata si è palesata per ciò che è: l’eliminazione dei malati. Duemila anni di cristianesimo e Papa Francesco mettono in guardia dalla “cultura dello scarto”. Ogni totalitarismo intraprende il proprio cammino di morte sopprimendo chi “non serve” e chi è un peso, anche economico, per la collettività. Fino alle falsamente liberali “democrazie” che oggi istigano al suicidio persino per una diagnosi (tutta da verificare scientificamente) di depressione in età minorile.

È ancora più scandaloso che nella culla della cristianità, con il pretesto per alcuni di “liberare” gli ultimi dalle sofferenze, si pretenda di cancellare quelle radici giudaico-cristiane che hanno valorizzato, dato senso, reso accettabili e condivise solidalmente le diversità, i patimenti, la stagione della tribolazione. Voler eliminare il senso della Croce di Cristo dalla vita privata e pubblica delle nostre società equivale a negare qualunque significato a una parte irrinunciabile dell’esistenza umana. Si partorisce nel dolore, si cresce imparando a convivere con le tante prove che richiedono capacità di sacrificio e di superamento della sofferenza, si giunge al traguardo del passaggio all’eternità senza la folle e criminale eresia di espellere da noi il “non gradito”.

È come quando, mezzo secolo fa, i disabili accompagnati in vacanza da don Oreste Benzi venivano cacciati dagli alberghi perché intristivano, con la loro stessa esistenza, i villeggianti. Ormai si è fatto un passo ulteriore verso il baratro e ci si arroga il diritto di cancellare quello che molti considerano solo “materiale umano” difettoso e indegno di restare su questa terra. Ciò sia detto con il rispetto dovuto a coloro i quali, in un contesto di estrema sofferenza e abbandono, scelgono di ricorrere alla pratica del suicidio assistito. Stia attenta, però, la classe dirigente perché agli occhi di Dio la “pietra scartata dai costruttori è divenuta testata d’angolo”. Il percorso del nuovo Governo non poteva cominciare sotto auspici peggiori, quelli di una mentalità di morte. E così, proprio i partiti sedicenti modernizzatori e vivificatori dell’Italia, vedono la luce mentre questa viene spenta per il prossimo.