La devozione al nome di Maria nasce nel Medioevo, assieme a quella per il nome di Gesù, ma la festa liturgica del Santissimo Nome di Maria fu introdotta in Occidente da Innocenzo XI dopo la vittoria sui turchi a Vienna, il 12 settembre 1683. Oggi però, francamente, non ci interessa invocare Maria per vincere una guerra, anche perché non c’è nessuna guerra da vincere, e semmai si tratta di vincere la pace, ed è per questo che nella festa della Vergine Assunta il card. Pizzaballa ha invitato tutta la Chiesa a pregare Maria…
Il significato del nome è però importante, e se il nome di Maria è forse di origine egiziana, esso contiene la radice del verbo amare: Maria è dunque l’Amata, “piena di grazia” (Lc 1,28). Isidoro di Siviglia, invece, indica un triplice significato del nome di Maria: Illuminatrice, Stella del mare (titolo “che conviene sommamente alla Vergine Madre”, nota San Bernardo) e Signora.
Ma c’è di più. Perché non ci può bastare l’origine della parola, e a noi interessa il senso del Nome che amiamo. Ci aiuta il testo evangelico scelto dalla liturgia: l’incontro tra Maria ed Elisabetta, dal quale sgorga il Magnificat (cfr. Lc 1, 39-47). Maria, allora, è il Nome di una relazione, che tutti noi ricerchiamo nei passaggi decisivi della nostra vita: nei momenti di gioia (tre amici cari sono nati il 12 settembre e sempre mi piace affidarli a Maria), come in quelli di dolore: ricordo l’Ave Maria pregata con insistenza e a voce alta da me e da alcuni familiari, durante il massaggio cardiaco di un amico…E non è un caso che il Rosario sia pregato volentieri – anche dai giovani! – di fronte alla salma di una persona cara.
Se il nome, nella tradizione biblica, dice l’identità e la missione di ciascuno (e non per caso Gesù significa il Salvatore!), il nome proprio indica anche, e soprattutto, il desiderio di una relazione che diventa intimità, e invocazione, affidamento: “prega per noi il tuo Figlio Gesù”, quante volte ci siamo rivolti a Lei con queste parole…
Perchè non si può vivere di sole parole, e le parole che diciamo sono spesso vuote e senza senso; dalla parola al nome: questo, mi pare, è l’itinerario. Maria è allora, per noi, la parola diventata Nome, che chiede a noi di nominare, con il suo, anche il nome di Dio.
In questo tempo complicato (il tempo della guerra e del post-covid, il tempo del disagio crescente e del post-teismo), se Dio rimane una parola fra tante non significa più niente, e siamo quasi tentati di non usarla più. Ma, come scrive in una pagina bellissima Martin Buber, “la parola Dio non è forse proprio per questo la parola dell’invocazione, la parola divenuta nome, consacrata per tutti i tempi in tutte le lingue umane? Dobbiamo stimare coloro che la interdicono, perché essi si oppongono al torto e al sopruso che così spesso fanno appello a Dio per giustificarsi; ma non possiamo abbandonarla…Non possiamo lavare da tutte le macchie la parola Dio e nemmeno lasciarla integra; possiamo però sollevarla da terra e, macchiata e lacera com’è, innalzarla sopra un’ora di grande dolore”.
Dal Nome di Maria al Nome di Dio. Un itinerario forse strano, quello cui ho cercato di accennare in queste poche righe. Un itinerario, però, che mi sembra possibile: per non fermarci alle parole e ritrovare i Nomi. E allora mi piace, con la immaginazione, riandare a Nazaret: perché lì Gesù avrà imparato a pronunciare, con devozione e affetto, il nome di Maria (non posso pensare che abbia detto soltanto mamma o donna!), e lì Maria gli avrà insegnato a invocare Dio con il nome di Abbà, Padre.
Per noi, allora, pronunciare questi Nomi diventa un mettere la nostra vita (i nostri nomi propri!) nelle mani di Chi pronuncia i nostri nomi con fedeltà e amore. E allora smetto di cercare me stesso guardandomi allo specchio, e inizio a capire che “ciò che io sono è meglio che sia Lui -il Potente, il Misericordioso- a dirlo con voce di Padre” (card. Martini). Chiamandomi per nome!
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