Il balcone dei nuovi farisei

C'è un nuovo peccato sociale per i moderni farisei: “balconare”. E cioè avere un atteggiamento distaccato rispetto alla realtà sociale circostante, stare alla finestra senza partecipare a ciò che accade. Il neologismo “balconear” è da poco entrato nella Treccani, lo ha inventato un anno e mezzo fa Papa Francesco in un luogo tutt’altro che casuale: la tomba di don Primo Mazzolari, il parroco partigiano, ribattezzato da Giovanni XXIII la “tromba dello Spirito Santo in terra mantovana”.

Il cardinale biblista Carlo Maria Martini disse di lui: “Capace di scrutare i segni dei tempi, condivise le sofferenze e le speranze della gente, amò i poveri, rispettò gli increduli, ricercò e amò i lontani, visse la tolleranza come imitazione dell’agire di Dio. Fu profeta coraggioso e obbediente, fece del Vangelo il cuore del suo ministero”. Oggi don Mazzolari è in cammino verso la beatificazione come un altro apostolo della carità: don Oreste Benzi. Opposta alla strada verso gli altari è quella del “lasciar fare”, del “balconare la vita”. Occorre mettere in guardia dall’ipocrisia “chi sta alla finestra a guardare senza sporcarsi le mani”. Nella mia trentennale esperienza pastorale mi trovo a fronteggiare il senso di inadeguatezza ed estraneità che permea la società. Mai come ora però il disorientamento si fa indifferentismo. Il diavolo è per definizione il “grande divisore”, colui che destabilizza l’individuo separandolo dal contesto familiare, sociale, relazionale. Invece come insegnano due millenni di cristianesimo, nessuno si salva da solo. Una fede solipsistica e “self-centred” è una contro testimonianza del Vangelo. E’ arrivata l’ora di scendere dal balcone e di sfidare l’anestesia sociale che trasforma i giovani in zombi. Facciano un passo avanti tutti quelli che sentono il disagio per una timidezza che diventa impossibilità di azione e in ultima analisi un peccato. Mai quanto ora c’è bisogno di fermento dal basso, di spontaneismo creativo, di una società civile radioattiva in grado di scuotere dal torpore le moltitudini da troppo tempo silenziose.

La crisi drammatica delle agenzie formative provoca continui blackout come le recenti mobilitazioni più virtuali che reali in nome di un ecologismo ridotto a flash mob. Non è questa la reazione che “la casa comune” attende. E’ la finta piazza priva di consapevole assunzione di responsabilità, è il protagonismo senza autentici protagonisti. Basta leggere le sconfortanti risposte degli improvvisati manifestanti pro-Greta per accorgersi quanto i contenuti non possano essere surrogati dalle mode.

Tanto meno dall’alto del balcone si può avere la giusta prospettiva per guardare negli occhi la vita. E’ l’errore di chi separa in Dio la giustizia dalla misericordia o come amava ripetere don Benzi: “Non si può fare per carità ciò che va fatto per giustizia”. Purtroppo sia in campo sociale, politico e culturale sia nella pluriforme galassia cattolica, per usare le parole del Ponteficeci si accontenta di criticare, di descrivere con compiacimento amaro e altezzoso gli errori del mondo intorno e questo atteggiamento mette la coscienza a posto, ma non ha nulla di cristiano perché porta a tirarsi fuori, con spirito di giudizio, talvolta aspro”. Troppi cattolici oggi non esitano a mettersi su un piedistallo per giudicare gli altri, a tutto discapito di quel valore essenziale della convivenza civile che è l’impegno franco e diretto. La settimana scorsa un ragazzo incontrato in una piazza mi ha fermato con una scusa e poi mi ha chiesto: “Perché dovrei credere in Dio?”. In un primo momento mi è venuto da rispondergli con le teorie, poi, leggendo nello sguardo la distanza, ho avvertito l’urgenza di rivolgermi al suo cuore: “Vieni con me a conoscere Gesù e incontrerai Dio”. Solo il mistero dell’incarnazione dà plausibilità alla fede. Un Dio che si fa uomo avvicina anche gli agnostici. E ha un rilievo pubblico per la capacità di unire laddove il mondo desacralizzato divide.

Introducendo i lavori in Cei, il cardinale Bassetti ha richiamato la necessità dell’ascolto (“dove ciascuno ha qualcosa da imparare dall’altro”) e della “volontà di mettersi in sintonia, di accogliersi reciprocamente”. Quando manca questo sguardo, “riusciamo a dividerci su tutto, a contrapporre le piazze, persino sul tema della famiglia”. Significativamente, duemila anni fa, a spingere Gesù sul calvario fu anche una setta, quella dei farisei, che predicava una rigorosa osservanza della legge e il cui eccessivo formalismo era stato condannato proprio da Cristo. Il termine “farisei” è diventato sinonimo di comunità false, ipocrite, che guardano più alla forma che alla sostanza delle azioni. “Lo principe d’i novi Farisei”, così Dante definisce il suo acerrimo nemico Bonifacio VIII che, a differenza dei Papi della nostra epoca, si serviva della Chiesa invece di servirla. In assenza di contenuti, trionfano le forme. L’Italia impoverita e impaurita del 2019 descritta nel Rapporto economico dell’Ocse soffre un vuoto di impegno civico e attende risposte.