I fabbricanti delle nuove schiavitù

Negli anni 90 c’era un prete dalla tonaca lisa, con l’amore contagioso e la carità inesauribile. Egli aveva deciso di intraprendere un cammino particolare: recarsi sui marciapiedi della prostituzione per dare voce a migliaia di giovani donne ridotte in stato di schiavitù e per denunciare il fenomeno della tratta degli esseri umani. Era don Oreste Benzi. La malavita lo minacciava, molti lo deridevano, altri lo ritenevano ingenuo quando affermava che tutte quelle donne fossero davvero schiavizzate e non avessero scelto liberamente la prostituzione. Neanch’io l’avrei capito fino in fondo se non l’avessi accompagnato sulle vie delle donne vendute e mercificate, dei bambini costretti all’accattonaggio, dei giovani sfruttati dai caporali, degli immigrati torturati e venduti: un inesauribile gorgo di aberrazioni umane se si considerano le molteplici connivenze a vari livelli e i guadagni incalcolabili che se ne ricavavano.

Eppure c’è chi ancora oggi nega l’evidenza, ritenendo che la tratta appartenga alla storia del Nuovo Mondo con la riduzione in schiavitù di migliaia di persone deportate nelle Americhe dal continente nero. Invece, senza sconti, il passato si ripete. Anzi, il commercio degli esseri umani ai nostri giorni ha assunto molte facce, alcune terribilmente evidenti altre più subdole ma non meno devastanti. Le cause di questo efferato crimine risiedono tutte nell’avidità e nella smania di potere, che continuano ad accecare gli uomini. Le volontà politiche non sono né determinate, né orientate a combattere simili casi di sfruttamento che denunciano un deteriorarsi della società sul piano etico e uno svilimento della nostra stessa civiltà. Ci si chiede anche perché, nella maggior parte degli Stati, non esistano ancora leggi che condannino fermamente i fruitori del sesso a pagamento. I cosiddetti clienti, infatti, si aggirano indisturbati abusando anche delle minorenni, sono correi di questa grave ingiustizia.

Troppe donne vengono offese nella loro dignità e sono costrette a subire crudeltà di ogni genere. Spesso, illuse e ingannate, partono con prospettive di un lavoro che le riscatti dalla povertà o liberi dalla miseria i familiari o gli stessi figli; si ritrovano invece umiliate e degradate. In preda alla vergogna e ai sensi di colpa, se lasciate sole, non riescono a scappare dagli aguzzini che le soggiogano. Questo turpe mercato viene di fatto ignorato da molti governi occidentali, pronti a favorire un’economia senza etica, narcisistica e selvaggia, incurante di contrastare con decisione le organizzazioni criminali, capaci di gestire ignominiosi commerci quali traffico di minori, organi, donne prostituite, droghe e armi.

Rigurgiti di razzismo, nascosti dietro comunicazioni distorte e fuorvianti riportate talvolta dai media, rendono sgradevoli e ingombranti persone che hanno avuto il torto di essere nati semplicemente sfortunati in territori da sempre sottomessi e impoveriti. Il virus dell’indifferenza ha contagiato anche quei leader che vorrebbero sopprimere le organizzazioni umanitarie impegnate quotidianamente nel mettere la propria vita accanto a quella dei più deboli. A volte risultano scomode perfino le stesse realtà del mondo cattolico che operano instancabilmente, con spirito di carità, per garantire ai deboli un’accoglienza dignitosa.

Forse c’è ancora chi non ha ben compresa che la forza del cattolicesimo risiede tutta nella scelta di lottare fino al martirio per ciò in cui si crede. Noi che viviamo con gli schiavi liberati non possiamo tacere in merito a quanto continuamente sperimentiamo e ci sentiamo in dovere di gridare contro l’aberrante profanazione della vita umana. Nella fede seguiamo l’esempio di Santa Bakhita di cui celebriamo la memoria nella speranza che si risveglino le coscienze dei governanti a favore di tutte le vittime di tratta e perseveriamo con quella stessa passione di quel testardo Servo di Dio, don Oreste, che con il suo sorriso pieno di amore riusciva a spezzare le catene dei moderni schiavi.