I bambini che uccidono

Il bambino di Gazientep non è l’unico strumento nelle mani del Male. Altri piccoli hanno fatto la stessa fine, altri ancora sono addestrati per farla. A volte vengono “salvati”, nel vero senso del termine, prima che accada l’irreparabile: un 12enne che ha rischiato di diventare una bomba umana, ad esempio, è stato fermato con indosso la cintura a Kirkuk, capitale del Kurdistan iracheno, poco prima che si facesse esplodere. Bloccato dai peshmerga, lo strumento di morte era nascosto sotto la maglietta del Barcellona col numero del suo campione preferito, Messi.

Il pensiero che dei bambini vengano usati come bombe ci fa inorridire, e dà il senso di come si sia scivolati verso il basso. In ogni cultura – esclusi i riti tribali di migliaia di anni fa e qualche controversa testimonianza sui Cartaginesi, – i bambini sono stati sempre protetti, Persino la malavita, fino a un secolo fa, aveva un codice d’onore che lib difendeva rispetto alle faide degli adulti.

Ora non è più così, e si fa strada l’indottrinamento al suicidio che fa leva non tanto sul concetto religioso quanto sulla concezione della morte che hanno gli adolescenti.

Studi psicologici dimostrano che quando inizia la scuola materna, il bimbo comincia a capire che la morte è una cosa reale ma pensa che si possa evitare, che sia causata solo da incidenti. All’inizio della scuola realizza che la morte può colpire tutti e che può avere cause diverse.

Dai 7 o 8 anni è possibile una vera elaborazione del lutto e verso i 10 anni assume caratteristiche di irreversibilità, universalità e imprevedibilità. Ma è proprio in questo momento che l’adolescente è affascinato dalla morte, ci pensa molto, ma non ha ancora piena percezione del suo carattere definitivo. E’ qui che i terroristi “giocano” con l’anima dei bambini, peraltro spesso imbottiti di droghe oltre che di idee malsane.

E il Male prende corpo nelle sua forme più terribili: dolore, morte, sangue, disperazione che passano per mani innocenti. E’ questa la vera guerra che si sta combattendo, ed è la più difficile.