Gli angeli della morte

Lo hanno sentito più volte pronunciare la frase “io sono Dio” e qualificarsi come l’”angelo della morte”. Il caso del medico anestesista che insieme all’amante infermiera è accusato di aver ucciso alcuni pazienti a Saronno ci deve far riflettere. Non lo hanno fatto per soldi né per un qualche interesse, ma per “vivere” la sensazione di decidere della morte degli altri. “Io sono Dio”, basta questo per comprendere la genesi di tutto. Orrore, certo, pazzia anche. Ma anche un modo di intendere la società odierna, dove il pensiero di poter fare ciò che si vuole con la vita altrui e con la propria sta diventando dominante.

Pensare a un anziano inerme che viene imbottito di farmaci con lo scopo di eliminarlo fa vibrare le corde dell’indignazione, sollevare le barricate del diritto alla vita. Il fatto richiama le più oscure paure della memoria, e il pensiero corre a Josef Mengele, il medico militare tedesco noto per i crudeli esperimenti medici e di eugenetica che svolse nel campo di concentramento di Auschwitz, usando i deportati, compresi i bambini, come cavie umane. Anche lui veniva definito “Angelo della morte”.

Eppure, nella società di oggi, pensare al diritto di un bambino a nascere non provoca lo stesso sdegno, anzi si considera il diritto alla scelta dell’adulto, al diritto della donna. Ma le persone non ancora nate, non sono delle masse di tessuto bensì esseri umani con tutto il codice Dna necessario per creare gli aspetti di ogni individuo. A 18-25 giorni dopo il concepimento il cuore batte già; a 6 settimane si possono misurare la frequenze delle onde cerebrali; a 8 settimane gli organi interni sono funzionanti e le impronte digitali sono visibili; a 9 settimane il feto percepisce dolore.

Il cocktail di farmaci iniettato alle povere vittime di Saronno ci provoca un brivido lungo la schiena; la forte soluzione salina che viene iniettata nel sacco che contiene il bimbo per provocare l’interruzione di gravidanza, invece, a molti non fa lo stesso effetto. Perché chi lo ha deciso è la madre stessa, e non un estraneo. Dunque se qualcun altro decide di comportarsi come “dio” non è accettabile, se “dio” siamo noi in prima persona, diventa – per molti, non per noi – legittimo. Ecco il relativismo imperante, ecco la fotografia di una società malata. E, in fondo, l’ipocrisia che regge il mondo moderno, privo di valori assoluti, dove il bene e il male, la vita e la morte, sono elementi interscambiabili a seconda delle convenienze.