Genere, l’intransigenza lessicale

E’ bene lottare per una causa giusta, in particolare affinché la sessualità non diventi a-sessualità. Ma attenzione a non esagerare fermandosi ostinatamente alla terminologia, perché così facendo si rischia di diventare ridicoli.

L’italiano distingue due generi grammaticali: il maschile e il femminile. Nel caso di esseri animati, corrisponde al sesso dell’uomo o dell’animale indicato; nel caso di oggetti non animati, invece, è dovuto a una convenzione esclusivamente linguistica. Da un po’ di tempo il dibattito sulle teorie gender ha prodotto pletore di fondamentalisti della lingua, per cui anche solo nominare la parole “genere” vorrebbe dire automaticamente sposare la teoria “gender”, o comunque creare confusione.

Ma così facendo, anche le ragioni della battaglia per evitare che venga introdotta la teoria gender nelle scuole, vengono depotenziate. Non ha molto senso infatti rifiutare il semplice utilizzo del termine se si parla di genere femminile in un contesto in cui è chiaro che il termine viene utilizzato per descrivere la condizione della donna – come ad esempio nei luoghi di lavoro – oppure in un articolo che, pur contrastando quelle teorie e ribadendo l’importanza della distinzione tra sessi, descrive l’origine del gender utilizzando dunque il termine “genere”.

Cancellare il termine dal vocabolario non è il modo migliore per affrontare la questione, così come il non parlare di un qualunque problema – in casa come nella società globale – non significa risolverlo ma acuirlo. Non bisogna avere paura delle parole, ma riuscire a leggerle nel contesto in cui vengono pronunciate.

Per chi come noi crede nella famiglia naturale – anch’essa sotto attacco – è chiaro come essa sia costituita da un uomo e una donna. Ne consegue che ogni ipotesi di omologazione dei due sessi sia da rifiutare (come ha spiegato bene Papa Bergoglio: “Mi domando se la cosiddetta teoria del gender non sia anche espressione di una frustrazione e di una rassegnazione, che mira a cancellare la differenza sessuale perché non sa più confrontarsi con essa. Sì, – ha aggiunto il Pontefice – rischiamo di fare un passo indietro. La rimozione della differenza, infatti, è il problema, non la soluzione”).

Nessuna confusione dunque rispetto all’importanza della differenza tra maschile e femminile. Anzi, va spiegato che la battaglia sul termine “genere” debba essere quella di assimilarlo a quello di “sesso”, esattamente come avviene in grammatica. Il vero punto di svolta è proprio questo: non rifiutare la parola ma assorbirla – come già è nella realtà e nella letteratura – al concetto di sessualità. Chiarito questo equivoco lessicale, molte teorie non avrebbero nemmeno la forza di affacciarsi al sistema educativo. Comprendere è sempre il primo passo per risolvere i problemi. In “genere” funziona… Ma si potrà dire cosi!?