Editoriale

1962-2022: Francesco sulle orme di Roncalli per la pace

Magistero di pace. Nel 1962 Giovanni XXIII per la crisi missilistica di Cuba. 2022, Francesco nell’epicentro diplomatico, geopolitico ed ecumenico del conflitto russo-ucraino. Ne ha parlato ieri il Santo Padre al termine della messa celebrata sul sagrato della Basilica Vaticana. Per la Canonizzazione dei Beati Giovanni Battista Scalabrini e Artemide Zatti. “A proposito dell’inizio del Concilio, 60 anni fa, non possiamo dimenticare il pericolo di guerra nucleare che proprio allora minacciava il mondo. Perché non imparare dalla storia? Anche in quel momento c’erano conflitti e grandi tensioni, ma si scelse la via pacifica”, ha sottolineato sulle orme di Giovanni XXIII. La spinta ecumenica dei due pontefici ha origine in alcuni aspetti che li accomunano profondamente. Ad analizzarli è il missionario scalabriniano padre Gaetano Saracino. A partire dal convincimento che, in forza dello stesso Vangelo, può esistere un ecumenismo di fatto che viene prima di quello dottrinale. Con la ricerca continua e concreta del dialogo. Figlio di una ispirazione ed un coraggio fuori dal comune. “L’ethos, lo stile di vita di entrambi è fatto di semplicità e di affetto nei confronti di ogni persona umana. Soprattutto verso i sofferenti e i poveri- osserva il missionario-. Ciò li conforma in maniera più evidente allo spirito evangelico“. A distanza di sessanta anni, la lezione di Roncalli resta valida per il successore che lo ha canonizzato. Ai tanti motivi di vicinanza tra Giovanni XXIII e Jorge Mario Bergoglio si aggiunge un’esperienza comune. E cioè il vissuto extra romano che li ha realmente posti a contatto e in dialogo con i fratelli di altre confessioni. Questi sono i pilastri che hanno aiutato e aiutano sensibilmente il dialogo ecumenico. Rimuovendo non pochi ostacoli nei rapporti tra cattolici e altre confessioni non cristiane.Uno dei gesti ecumenici più efficaci, Francesco lo ha compiuto a Gerusalemme. Sul Santo Sepolcro. Abbracciando Bartolomeo, il patriarca di Costantinopoli. Esattamente come aveva fatto Paolo VI con Atenagora. Nel corso del pellegrinaggio in Terra Santa. A mezzo secolo di distanza il suo non è stato un semplice gesto commemorativo. Bensì un vero e proprio tentativo di risveglio. L’abbraccio di allora portò fulmineamente alla cancellazione delle reciproche scomuniche. Macigni sulla strada del dialogo che duravano dal 1054. Anno dello Scisma tra Oriente e Occidente. Fu una svolta compiuta seguendo il soffio del “vento nuovo”. Appena dopo la fine del Concilio ecumenico Vaticano II. E sembrava addirittura che si potesse arrivare alla condivisione del calice. Ma il pensiero dei teologi era volto a sottolineare più la necessità di arrivare ad un’intesa dottrinale. E ciò ha finito per rallentare, se non fermare, il cammino ecumenico. E i piccoli passi non vennero nemmeno avvertiti dal popolo di Dio. Papa Francesco ha voluto superare questo stallo. E lo ha smosso alla luce di gesti concreti. Come lo storico inconto con il patriarca di Mosca. E il confronto sul calendario liturgico comune. Soprattutto per quanto riguarda la data della Pasqua.Un gesto profondamente significativo è stata, inoltre, la visita alla comunità pentecostale di Caserta. Lì Francesco è andato oltre l’ecumenismo dei rapporti personali. Marcando quello delle origini. Basato sullo scambio e sulla cooperazione fraterna. Sulla scia delle aperture rese possibili dalla svolta ecumenica del Concilio. E anche quell’incontro è stato l’occasione per confermare un’idea-chiave. Appunto l’ ecumenismo di fatto. Insomma il Vangelo è lo stesso per tutti. E Jorge Mario Bergoglio punta a questo. Al compagno di strada. Al fratello nella stessa fede. Ognuno deve affidare vicendevolmente il cuore. Senza sospetti né diffidenze. Sbaragliando ossessioni e stratificazioni della storia. Pagine non sempre limpide. Situazioni da sbloccare con un approccio più biblico. Meno ecclesiastico e più pastorale. Andando oltre le rigidità del diritto e della teologia. Nel celebrare la settimana ecumenica, Francesco ha chiarito  che Cristo non può essere diviso. Perché Cristo nessuno lo possiede. Nemmeno le Chiese. E perché Cristo lo si dà. Quindi ciò che conta non sono le discussioni. Ma la testimonianza.

Giacomo Galeazzi

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