Foibe: il difficile percorso verso una memoria condivisa

Il giorno del ricordo è una solennità civile istituita il 30 marzo del 2004 per “conservare e rinnovare la memoria della tragedia degli italiani e di tutte le vittime delle foibe” e “dell'esodo dalle loro terre degli istriani, fiumani e dalmati”. Ci sono voluti dunque quasi 60 anni per far cadere il tabù sulle complesse vicende del confine orientale italiano, che portarono agli eccidi costati la vita a 18.000 italiani e che provocarono l’esodo di altri 350.000 connazionali dalla Venezia Giulia e dalla Dalmazia finite sotto la sovranità della Jugoslavia comunista di Tito.

Il dolore di queste popolazioni italiane di cultura istro-veneta è stato acuito da questi sessant’anni di oblio che la memoria ufficiale della Repubblica italiana ha riservato a questo dramma. La lunga scia di sangue lasciata dai regimi del Novecento fu infatti degna di essere ricordata solo laddove le vittime furono colpite da sistemi usciti sconfitti dalla seconda guerra mondiale. Della Shoah, lo sterminio degli ebrei d'Europa, conosciamo infatti tutti i contorni, e ne celebriamo la memoria, anche tramite una grande produzione letteraria e cinematografica, perché dopo la caduta del regime nazista le potenze vincitrici resero note a tutto il mondo le proporzioni dello sterminio.

Le foibe rientrano invece in quelle pagine sanguinose strappate dai libri di storia, come è avvenuto per il genocidio degli armeni per mano dell’impero ottomano (oltre 2 milioni di morti) e per le persecuzioni subite dal popolo tibetano dopo l’invasione della Repubblica popolare Cinese.

Alcuni settori politici e culturali del nostro Paese arrivarono persino a definire come fascisti i 350.000 italiani che lasciarono l’Istria e Fiume dal 1945 in poi, perché rifiutarono di vivere nel “paradiso” del socialismo reale costruito dal maresciallo Tito nella Jogoslavia comunista. Gli esuli e le vittime giuliano-dalmate furono in qualche modo tenute nascoste anche dalle forze democratiche della Repubblica, che nelle vicende dei giuliano-dalmati vedevano riflessa la sconfitta di uno Stato che dovette sottoscrivere tutti i trattati (l’ultimo fu quello di Osimo del 1975), che sancirono la definitiva separazione territoriale di quelle provincie dall’Italia. Insomma le violenze e le privazioni subite da quelle popolazioni erano una macchia vergognosa che si preferì occultare con il bene stare di tutti i partiti. Un atteggiamento che mortificò ulteriormente le famiglie degli esuli che, in alcuni frangenti storici, si sentirono come degli estranei in casa loro.

Queste ferite sono state in parte rimarginate con la legge e del 2004 e da una memoria che le autorità italiane stanno faticosamente cercando di far diventare condivisa. Ieri, in occasione della ricorrenza del Giorno del ricordo, non è un caso che il presidente della Repubblica Sergio Mattarella, abbia messo l’accento proprio su il mancato riconoscimento delle Foibe: “Una sciagura nazionale alla quale i contemporanei non attribuirono il dovuto rilievo”. “Esistono ancora piccole sacche di deprecabile negazionismo militante”, ha rimarcato il capo della Stato, secondo il quale “oggi il vero avversario da battere, più forte e più insidioso, è quello dell'indifferenza, del disinteresse, della noncuranza, che si nutrono spesso della mancata conoscenza della storia e dei suoi eventi”.

“Il Giorno del ricordo contribuisce – si legge ancora nella dichiarazione di Mattarella – a farci rivivere una pagina tragica della nostra storia recente, per molti anni ignorata, rimossa o addirittura negata: le terribili sofferenze che gli italiani d'Istria, Dalmazia e Venezia Giulia furono costretti a subire sotto l'occupazione dei comunisti jugoslavi”.

Purtroppo però la cronaca recente riferisce ancora di targhe divelte e monumenti ai caduti della Foibe imbrattati. Così come non si può non constatare che la proiezione di un film come Red Land (Rosso Istria), che racconta gli orrori avvenuti in Istria, fatica ad entrare nelle attività extra curriculari scolastiche. Di fatto, poi, c’è ancora una minoranza del Paese che attribuisce un colore politico alle vittime di quella che fu una vera e propria pulizia etnica, malgrado anche molti importati esponenti della sinistra ex comunista abbiamo riconosciuto e condannato le violenze perpetrate dai partigiani titini. La strada per una memoria condivisa è quindi ancora in salita, tuttavia i molti passi compiuti in questi ultimi tre lustri lasciano sperare che la conoscenza del nostro passato ci aiuterà a costruire un futuro migliore, nel segno di una vera pacificazione fra tutte le comunità della nostra nazione.